Dal 25 ottobre al 6 novembre è andato in scena al teatro Piccolo Eliseo di Roma lo spettacolo Crociate, un monologo interpretato da Valerio Binasco per la regia di Gabriele Vacis.
Difficile raccontare in poche parole questo spettacolo, tanto che anche le presentazioni che si trovano in giro per la rete o la rassegna stampa messa a disposizione dal sito del teatro non mi pare consentano realmente di farsi un’idea di quello che ci aspetta.
Eh sì, perché è assolutamente vero che Crociate è liberamente ispirato all’opera illuministica di Gotthold Ephraim Lessing Nathan Il saggio; è assolutamente vero che affronta il tema del rapporto tra le grandi religioni monoteiste; è assolutamente vero che è un invito alla pace e alla tolleranza. Ma, detto così, potreste pensare a un lavoro dal tema un po’ abusato e po’ retorico.
Invece, il monologo di Valerio Binasco è in qualche modo sorprendente, per due motivi principali: innanzitutto perché il testo (sempre grazie a Gabriele Vacis) è molto più articolato e va ben al di là della storia di Nathan Il Saggio, in secondo luogo perché Binasco conferisce vitalità, ironia ed emozione a un racconto che a tratti potrebbe anche risultare piatto.
Per quanto riguarda il testo, alla complessa storia di Nathan, di sua figlia Rachel, del templare e del sultano Saladino si intrecciano ricordi personali, l’omaggio a un compagno di classe, la citazione di classici letterari tra cui una poesia di Elsa Morante, riflessioni generali, frammenti di storia, riferimenti al presente. Il tutto condito dalla simpatia di Valerio Binasco, che - da solo su un palcoscenico in parte coperto di specchi - gioca con un grande telo bianco a volte utilizzato come sipario, altre volte come mantello, altre volte ancora come “controsoffitto” ad attenuare le luci, e interpreta vari personaggi umanizzandoli attraverso la scelta di un accento regionale italiano.
Ne viene fuori l’affresco di una vita umana che da sempre si confronta con le religioni e soprattutto con la ricerca di un senso ultimo, di una trascendenza, di un disegno che in qualche modo conferisca significato alle nostre piccole o grandi esistenze, per constatare infine che la nostra esistenza come singole persone e come umanità è – come recita Binasco citando la Morante de Il mondo salvato dai ragazzini – un «arabesco indecifrabile [...] dato per la gioia del suo movimento, non per la soluzione del suo teorema».
Per quanto riguarda la presenza di Binasco in scena, il suo stile un po’ low profile potrebbe disturbare chi - di fronte a un testo e a una fonte letteraria di così nobile ascendenza - si aspettasse un approccio aulico e molto “teatrale”. Invece il tutto si presenta come una chiacchierata informale con il pubblico, che Binasco guarda negli occhi. E sulla sua fronte si vede il sudore della fatica di un monologo di un’ora e mezza sotto i riflettori e nei suoi occhi la commozione quando ci racconta dell’amico Bottazzi.
Non so se questo teatro che risulta alla fine in qualche modo divulgativo sia grande teatro. Certo è un teatro che coinvolge, che piace al pubblico e che trasmette contenuti importanti. E quindi è assolutamente il benvenuto.
Voto: 3/5
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