C’è ancora qualcuno che è in grado di parlare ai giovani con sincerità e profondità, ma anche assicurando loro quell’approccio ludico che tanto gli appartiene. Questo qualcuno è Marco Paolini, grande affabulatore che viene dal Nord-Est e che riesce a portare al Teatro Argentina di Roma un numero di giovani (ragazzi di scuola superiore e di università) che era forse dai tempi della mia di scuola (ormai più di 20 anni fa) che non vedevo in così grande numero a uno spettacolo teatrale.
E alla fine di due (e dico due!) ore di monologo sono questi stessi giovani i più convinti nel battere le mani a questo trascinatore che ha saputo divertirli, incantarli, affascinarli raccontandogli nient’altro se non la storia di Galileo Galilei.
Che dire di nuovo su Galileo? Non ci hanno forse già raccontato tutto? Forse sì. Eppure Paolini sembra parlarci di qualcosa di nuovo e lo fa in un modo che è tutto suo e che è assolutamente originale.
Paolini ci racconta la vicenda umana di Galilei, la sua grandezza intellettuale e le sue piccinerie, lo esalta e lo ridicolizza, e attraverso di lui ci descrive un intero contesto culturale, italiano e non solo, richiamando grandi figure di suoi contemporanei, da Keplero a William Shakespeare.
Parlare di Galileo Galilei non è solo uno sguardo gettato su un mondo lontano dal nostro, di cui Paolini ci fornisce dovizia di informazioni e di dati storici, bensì anche un’occasione di riflessione sul mondo presente, cui non mancano i riferimenti sempre sul confine sottile tra il serio e il faceto.
In un certo senso, la vicenda di Galilei non è altro che l’occasione per raccontare vizi e virtù di un’Italia che in alcune sue caratteristiche non è affatto cambiata in 500 anni di storia.
Tutti avremmo voluto avere a scuola un professore come Marco Paolini, uno che recita l’Amleto nella sua lingua madre, il veneto, uno che è capace di rileggere Il dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo come una rappresentazione da commedia dell’arte, uno che racconta la storia della scienza con una passione che è a metà strada tra quella del neofita e del cultore della materia.
Oggi - come e più di ieri – abbiamo bisogno dell’arte del racconto, della narrazione. L’antichità aveva gli aedi, i cantastorie che nei poemi tramandati di generazione in generazione racchiudevano e consegnavano al futuro realtà, fantasia, mito, insegnamenti morali, letture sociali, convinzioni religiose.
In fondo Paolini non è altro che un moderno aedo che dà nuova vita alle storie del nostro passato prossimo e remoto arricchendole di significati ulteriori e portando alla luce quelli nascosti tra le pieghe delle pagine della storia ufficiale.
È per questo che giovani e meno giovani finiscono conquistati da questo flusso di parole come tutte le volte in cui da bambini qualcuno li ha presi tra le braccia o fatti sedere sulle ginocchia e gli ha sussurrato all’orecchio: “Ora ti racconto una storia”.
Voto: 4/5
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