È in scena dal 27 aprile all'8 maggio al Teatro India La fila (Line), il testo teatrale scritto da Israel Horovitz nel 1967.
Ci vado in un pomeriggio di un'autentica domenica primaverile romana (chi ha detto che non esistono più le mezze stagioni?) senza sapere nemmeno chi sia Horovitz ma attirata dalla prospettiva di vedere questo famigerato Teatro India che in otto anni a Roma non ho ancora avuto la possibilità di visitare.
E così, dopo essermi persa in quella zona per me praticamente sconosciuta che si estende tra il Tevere e viale Marconi, approdo alla ex-fabbrica Mira Lanza di Roma, un edificio industriale realizzato tra il 1918 e il 1924, una parte del quale è stato acquistato nel 1999 dal Comune e ristrutturato per diventare il Teatro India, sede "sperimentale" del Teatro di Roma. Il posto è veramente speciale: vista sul grande gazometro dall'altra parte del fiume, e subito dietro quelli più piccoli (quelli tante volte ritratti nei film di Ozpetek), il ponte di ferro sul fiume, terreni incolti e - qua e là - i segni della forte caratterizzazione industriale del passato. E poi, scese le scalette dell'India, archi e strutture di mattoni che forse un tempo erano espressione della bruttura della periferia industriale e oggi fanno quasi tenerezza e sono gradevoli a vedersi e a viversi, all'interno del giardino con bar e tavolini.
Del resto è una zona della città che - se fino a non molto tempo fa era abbandonata a se stessa - oggi è diventata un nuovo polo culturale della città, in cui batte soprattutto un cuore di cultura alternativa, visto che oltre al Teatro India, troviamo la Città del Gusto, la Città dell'Altraeconomia e il Farmer's Market nell'ex Mattatoio di Testaccio, una delle due sedi del MACRO e centri culturali di vario genere. È una Roma un po' diversa, che vuole farsi internazionale (mi ricorda certa Londra radical-chic), ma alla fine - ai piedi del Monte dei Cocci - finisce per svelare la sua romanità in quei tratti che sono così evidenti agli occhi di chi ci vive, ma sono intraducibili in parole. In ogni caso, oggi Roma mi è sembrata davvero bellissima!
E forse anche per questo - nonostante un raffreddore che mi tormenta da qualche giorno - mi predispongo positivamente a vedere questo spettacolo di cui non so quasi nulla. E resto sorpresa.
Un palcoscenico senza alcuna scenografia, nero, ad eccezione di una linea bianca (fosforescente al buio) che è protagonista dell'opera di Horovitz. L'esistenza di questa linea e della fila che impone farà esplodere infatti gli istinti più bassi dei cinque personaggi (4 uomini e 1 donna) che ad uno ad uno compariranno in scena e si contenderanno il primo posto per partecipare a non si sa bene quale evento, forse un concerto di Mozart (ma i protagonisti fanno dichiarazioni contraddittorie in proposito). Ognuno determinato a usare qualunque mezzo pur di ottenere il primato: l'astuzia, la forza, le arti femminili, il sesso, il ricatto psicologico, la minaccia, il sotterfugio. Si tratta di Stephen (giovane un po' esaltato il cui attore, Luca Nucera, sembra Heath Ledger nell'interpretazione di Joker in Batman), Fleming (un omone grande e grosso, ma un po' stupido), Dolan (narcisista e meschino), Molly (la materializzazione di una perfidia e di un sadismo che può essere solo femminile), Arnall (il suo pavido marito, che ama farsi calpestare da lei e dagli altri).
Gabbati dall'astuzia sottile di Stephen che per sancire la sua vittoria porterà via la linea, gli altri quattro lo assaliranno per conquistarsi il proprio pezzo di linea rispetto al quale essere primi, senza riuscire però nemmeno in questo modo a superare l'istinto primordiale alla competizione, che senza competitori non dà soddisfazione.
Ne viene fuori il quadro di un'umanità in cui la "tragedia dei beni comuni" di cui parlava Harding è assolutamente inevitabile, forse perché gli esseri umani hanno bisogno di una sfida - anche se insensata - con gli altri. E non ci sono regole interne o morali che tengano di fronte a questo istinto primordiale, capace di spingere a qualunque nefandezza.
Un testo che ha ormai oltre 50 anni e che sembra scritto ieri, in una società che promuove la competitività in tutte le forme e a tutti i livelli, considerandola fonte di ricchezza e benessere. Un testo in cui chiunque può riconoscersi, nonostante le tipizzazioni che, nel tentativo di astrazione, possono dare l'impressione di una lettura semplificata.
Un'ora intensa, ben recitata, con una buona regia, al termine della quale si applaude a lungo e volentieri. Con la promessa di tornare presto all'India, magari anche solo a prendere un aperitivo guardando il gazometro.
Voto: 4/5
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