È in corso a Padova fino al 27 febbraio 2011 una mostra dedicata al tema del ritratto e alla sua evoluzione nel corso dell'Ottocento (con qualche estensione agli ultimi anni del Settecento e ai primi del Novecento).
La mostra è ospitata nella splendida cornice (come si dice in questi casi!) di Palazzo Zabarella, col suo bell'accesso dal cortile interno, lo scalone monumentale e i soffitti dipinti.
Come spesso accade in questi casi, un contesto prestigioso e dotato di una sua intrinseca bellezza non è necessariamente il più adatto e/o adattabile ad allestire un percorso artistico autonomo. Così, qualche stridore tra le opere in mostra (che sono prevalentemente dipinti, ma anche qualche scultura) e struttura architettonica si avverte, fors'anche perché la mostra ha un allestimento molto classico, fatto di brevi didascalie alle singole opere (integrate per chi vuole da audioguide), pannelli descrittivi che introducono le singole sezioni e grandi panneli con citazioni di contemporanei, soprattutto letterati e scrittori, ma anche gli stessi artisti e studiosi di arte, che si propongono di offrire suggestioni di lettura o suggerire collegamenti mentali non del tutto evidenti.
Ultimamente mi lascia un po' insoddisfatta questo tipo di allestimento, perché secondo me - che storica dell'arte non sono, né esperta di arte - si potrebbe investire qualcosina di più nel progettare strategie di coinvolgimento del pubblico, soluzioni di maggiore interattività, percorsi divulgativi di umanizzazione dell'arte. Ma... i nostri storici dell'arte sono figli di un approccio culturale che in qualche modo aborre la massificazione del consumo culturale e, ancora di più, la semplificazione della forma e dei contenuti della comunicazione.
Fatta questa premessa del tutto soggettiva, va detto che i contenuti della mostra e l'idea su cui si fonda risultano interessanti. La riflessione sulla continuità - e al contempo la profonda trasformazione - del genere del ritratto, nelle sue varie espressioni - ritratti di singoli e di famiglie, di estranei, di familiari o autoritratti - garantisce spunti di lettura meno scontati di quelli cui siamo abituati.
Il ritratto ne viene fuori, infatti, non solo come prodotto standardizzato e realizzato su commissione, mezzo principale di sostentamento per molti artisti, manifestazione esterna e segno esplicito - da parte prima della nobiltà e poi anche della borghesia - della propria ricchezza e status sociale, bensì anche come occasione per esprimere un originale punto di vista sulla realtà, sull'essenza immutabile dell'umanità ed anche sull'evoluzione dei contesti e della composizione sociale, sul rapporto tra città e campagna, sullo sviluppo tecnologico.
Ciò detto, a parte alcuni pezzi particolarmente famosi, come il ritratto di Alessandro Manzoni dipinto da Francesco Hayez che, nella mente di tutti noi, è praticamente l'unica immagine possibile dello scrittore lombardo per averla vista riprodotta in troppi manuali scolastici, per il resto attenzione e gradimento individuali saranno il risultato di sensibilità e preferenze del tutto personali.
Per quanto mi riguarda, pur affascinata dai ritratti nobiliari e borghesi della metà dell'Ottocento, finisco per essere inevitabilmente attirata dalla svolta artistica che si realizza tra fine Ottocento e inizio Novecento, che è una svolta non solo sul piano tecnico, ma anche su quello filosofico e sociale.
Così i ritratti di Corcos (è suo il dipinto Sogni scelto come locandina della mostra) e poi l'accelerazione impressa da Boccioni e Balla prima e da Modigliani poi sono le cose che mi hanno intrigato di più. E dunque, proprio quando mi è nata la curiosità di sapere come va avanti la storia del ritratto, ecco che la mostra è finita.
A questo punto aspetto la seconda parte: Il volto del Novecento ;-)
Voto: 3,5/5
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