Oscar 2010 per il miglior film straniero a questo film diretto da un argentino (naturalizzato spagnolo), Juan José Campanella, e ambientato in Argentina a cavallo tra il 1974 e il 1999. Protagonista Benjamin Esposito (Ricardo Darin), assistente del Pubblico Ministero, che – una volta in pensione – decide di dedicarsi alla scrittura di un romanzo incentrato su un caso giudiziario che in qualche modo gli ha cambiato la vita, il caso Morales. Una giovane e bellissima donna, Liliana Collotto, violentata e uccisa nella sua casa nel 1974. Un marito, Ricardo Morales (Pablo Rago), altrettanto giovane e innamoratissimo che non si darà pace finché l’assassino della moglie non avrà scontato la sua pena.
Intorno al caso Morales molti eventi e vicende convergono, sia sul piano nazionale sia su quello personale. La fine dell’epoca Peron e l’inizio di un regime in mano ai militari, molto più interessato alla repressione del dissenso che alla ricerca della giustizia. La storia mai esplicitata né tanto meno consumata tra Benjamin e Irene Menendez Hastings (Soledad Villamil), l'assistente che arriva dalla Cornell University a lavorare nello stesso ufficio di Benjamin. L’amicizia tra lo stesso Benjamin e il collega di ufficio, Pedro Sandoval (Guillermo Francella), simpatico ubriacone, dotato però di straordinario acume e generosità.
Così come tante storie si intrecciano, anche numerosi registri si mescolano in questo film: quello drammatico, quello ironico, il poliziesco, il giallo, il romantico in un mix molto equilibrato ed efficace. Perfetto anche l’equilibrio tra la parola, affidata soprattutto ad alcuni personaggi e ad alcuni momenti della storia, e il silenzio, che attraverso gli occhi dei protagonisti veicola il non detto che attraversa tutta la vicenda e che ne è la sua cifra dominante.
Anche dal punto di vista della tecnica cinematografica, Campanella dimostra maestria nel riprodurre l’atmosfera (anche sul piano dei colori e dell’impressione visiva) dell’Argentina degli anni '70, così come nel maneggiare la macchina da presa (straordinario il lungo piano sequenza che inizia in volo sullo stadio per concludersi nell’inseguimento e nella cattura del presunto assassino!).
Il regista riesce a tenerci incollati alla sedia per due ore fino allo scioglimento finale, finanche un po’ eccessivo. In conclusione, un bel film, di impianto classico e moderno allo stesso tempo. Probabilmente Oscar meritato, sebbene non abbia visto i concorrenti.
Personalmente mi è piaciuta – ancora una volta – la riflessione sul senso della vita, sul significato della passione, sul valore della memoria. La scrittura del romanzo e la ricerca di quanto non è stato a suo tempo chiarito è, in realtà, per Esposito l’occasione per chiedersi cosa ci permette di sopravvivere, cosa ci tiene attaccati a una vita vuota e priva di senso. La risposta sembra essere "la forza di un sentimento", "l’intensità di una passione". Questa è la chiave di volta che permette di risolvere il giallo dell’uccisione di Liliana Collotto, ma è anche lo strumento che consente di leggere e interpretare tutti i personaggi. Sandoval e la sua dipendenza dall’alcol, più forte della quale c’è solo la lealtà e l’amicizia per Benjamin fino al sacrificio di sé. Morales e il suo amore ormai incorruttibile, idealizzato e infine quasi ossessivo per la moglie uccisa, che lo porterà a perseguire tutta la vita una particolare forma di vendetta verso l’assassino. Esposito e la sua passione altrettanto incorruttibile per la Irene, che le circostanze e la mancanza di coraggio renderanno impossibile, ma che lo spingeranno infine a darsi un’altra possibilità.
Apparentemente consolante, e invece inquietante nella misura in cui, sequenza dopo sequenza, diventa chiaro il paradosso di fondo. La forza di un sentimento è tanto maggiore quanto più quel sentimento viene preservato dalla necessità di mettersi alla prova con la realtà e con lo squallore dell’abitudine e del quotidiano. Infatti, solo così acquista progressivamente, grazie all’operazione di filtro esercitata dalla memoria, quell’insostituibilità e quell’immortalità che ne fanno realmente motore dell’esistenza.
E ancora una volta mi viene da pensare a che esseri sfortunati e fortunati allo stesso tempo siamo. Con questa scintilla di immortalità che ci portiamo dentro e, al contempo, la consapevolezza dell’insensatezza della nostra piccola esistenza, acuita dal potere selettivo, distruttivo e ricostruttivo della memoria. Esseri che vivono lacerati tra una costante proiezione verso il futuro (come dice Irene, "Io ho sempre guardato adelante, non mi posso permettere di guardare indietro") e il desiderio e la necessità di non perdere i ricordi che sono la nostra storia (Morales dice "La cosa più brutta è rendersi conto di cominciare a dimenticare e non essere più in grado di distinguere tra ricordi reali e ricordo dei ricordi"). Esseri, dunque, spesso irrimediabilmente astratti da un presente che finiamo per lasciarci sfuggire.
Non ci resta dunque che aggrapparci alla bellezza di un’idea, di un ricordo, di un momento, di una possibilità, di una prospettiva, facendo di tutto per preservarla e darle respiro. Peccato che a volte ci manchi il coraggio di afferrarla completamente. O l'occasione. O entrambe.
Voto: 4/5
Anna, le tue parole riguardo alla vita sono poesia&verita'! grazie, Grazia
RispondiEliminaGrazie a te, cara amica! So che condividiamo un sentire molto simile...
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