Sono andata a vedere l’ultimo film di Woody Allen (Whatever works), animata da belle speranze perché le recensioni ne parlano in termini estremamente positivi e la maggior parte degli amici che l’avevano già visto me l’avevano caldamente consigliato, dicendomi che si tratta di un ritorno di Allen alle origini e quindi al meglio delle sue capacità espressive.
Ebbene, dopo aver visto il film, ho avuto la conferma che il Woody Allen classico non mi entusiasma, tanto che avevo invece decisamente apprezzato un film completamente estraneo (nelle atmosfere e nei toni) alla sua vena più tradizionale, Matchpoint. Da un punto di vista concettuale, mi pare che continui la riflessione di un Woody Allen ormai incamminatosi sulla strada della vecchiaia in merito al ruolo del caso e della fortuna rispetto al corso della nostra vita. Non importa quanto possiamo analizzare le nostre esistenze e capire di noi stessi, alla fine è la fatalità che determina gli eventi più importanti e il loro andamento.
Certo, questo film si caratterizza per un approccio che – per quanto possibile in riferimento a Woody Allen – appare più ottimista e quasi buonista, in quanto il messaggio del film è pienamente racchiuso nel suo titolo. Visto che per quanto possiamo affidarci nelle nostre scelte alla razionalità questo non ci garantisce la felicità, allora lasciamoci andare alla casualità e cerchiamo di vivere positivamente tutto quello che funziona. Il messaggio è affidato al suo alter ego nel film, Boris Yelnikoff (Larry David), personaggio inevitabilmente caratterizzato da un cinismo e da un sarcasmo che solo Allen può concepire. Purtroppo, personalmente non riesco a superare il fastidio quasi fisico che un personaggio ipocondriaco, logorroico e intollerante come questo mi suscita. Indubbiamente la sceneggiatura è brillante e in diversi momenti riesce a strappare una risata, e gli altri personaggi, la giovane moglie del protagonista (la brava Evan Rachel Wood) e soprattutto i due genitori di questa, sono azzeccati e giustamente essenziali al quadro d'insieme.
L’ambientazione newyorkese è gradevole, la trovata – non proprio nuova – di rivolgersi agli spettatori attraverso la macchina da presa certamente movimenta l'azione, ma al contempo accentua la componente didascalica del film. All'uscita dalla sala non mi ha abbandonato la sensazione che si tratti dell’ennesimo compitino a casa di Allen, con una tesi tutto sommato semplice e semplicistica da dimostrare, e senza veri guizzi di genialità.
In fondo lo dice sempre anche una mia amica che trovare la persona con cui si sta bene è per gran parte questione di fortuna (lei usa un termine diverso!!), combinazione di una serie di coincidenze che al calcolo delle probabilità farebbe venire il panico. Ma lo stesso Allen aggiunge che tutto è transitorio e che, appunto, finché funziona, meglio godersi quello che si sta vivendo e non farsi ingabbiare dalle sovrastrutture che la nostra educazione e società spesso ci impongono.
Insomma, bella scoperta! Sono migliaia di anni che filosofi e pensatori lo ripetono… E poi, mi chiedo, non sarà che a volte il caso non è così casuale, come dice Robert H. Hopcke nel suo ultimo libro Nulla succede per caso?
In conclusione, film gradevole da vedere, ma senza menzioni speciali.
Voto: 2,5/5
Uno dei film più divertenti che abbia mai visto, un Allen in splendida forma!
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