mercoledì 20 ottobre 2021

Festival del cinema spagnolo. Cinema Farnese, 1-7 ottobre 2021

Anche quest'anno il cinema Farnese ospita il Festival del cinema spagnolo (e latinoamericano), un'occasione imperdibile per conoscere il meglio di questa produzione cinematografica, tra cui film che fanno fatica a trovare una distribuzione in Italia e che dunque si rischia di perdere completamente. Oltre al fatto che il piacere di vedere i film in lingua originale è sempre impagabile.

Quest'anno riesco ad andare a vedere tre film, tutti e tre spagnoli, tutti e tre in qualche modo incentrati sul tema del rapporto tra genitori e figli (anche se in Intemperie non si tratta di un legame di sangue), sebbene ambientati in luoghi e tempi completamente diversi. Per i primi due film - entrambi opere prime - abbiamo anche la possibilità, sempre speciale, di dialogare con i due giovani registi e di ascoltare il loro percorso e le loro motivazioni.

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La inocencia

Il film di Lucía Alemany - come ci dice lei stessa nel dibattito che segue la visione - ha una base fortemente autobiografica. La protagonista quindicenne, Lis (la bravissima Carmen Arrufat), vive nel piccolo paese della regione di Valencia dove la regista è nata e ha vissuto la sua adolescenza (e nel film alcuni dei personaggi e delle comparse sono i veri abitanti del posto). Inoltre, la protagonista de La inocencia condivide con la Alemany altre due cose molto importanti: una passione per l'attività circense e un aborto in età precoce dovuto a una gravidanza indesiderata.

Il film in un certo senso rappresenta per la regista un modo per far pace con la sé stessa adolescente e con le dinamiche del piccolo paese in cui è cresciuta (dinamiche del resto tipiche di tutti i paesi rurali e di provincia).

Lis è in quell'età di confine tra l'adolescenza e l'età adulta, un mix di curiosità verso la sessualità e desiderio di indipendenza, ma anche di fragilità e ingenuità. Un'età nella quale la comunicazione con i propri genitori (interpretati da Sergi Lopez e Laia Marull) è difficile, soprattutto se si vive in un contesto tradizionalista e patriarcale. Lis frequenta la scuola e sogna un'accademia circense a Barcellona, ha amiche più o meno disinibite e pettegole, va in discoteca anche se non ha l'età per entrare, frequenta un ragazzo più grande di lei, Nestor (Joel Bosqued), che spaccia e fa il bulletto, ma che pure lui si dimostra alfine insicuro e fragile. A seguito della gravidanza non voluta, la ragazza dovrà affrontare i suoi genitori (e anche la comunità cui appartiene) e fare i conti con le proprie responsabilità, amorevolmente consigliata da Remedios, la madre un po' alternativa di una delle sue amiche.

La regia di Lucía Alemany è fatta di numerosi piani sequenza e di una camera che sta molto addosso alla protagonista, ricordando a tratti - come lei stessa ammette - la scelta di Abdellatif Kechiche in La vita di Adèle, tanto più che Carmen Arrufat richiama alla memoria alcune espressioni della protagonista di quel film, Adèle Exarchopoulos.

Un bell'esordio cinematografico che si muove agevolmente tra commedia e dramma, e che si conclude su una nota di speranza e ottimismo verso il futuro, attraverso la riconciliazione tra madre e figlia sancito dall'aprirsi dei due volti in un luminoso sorriso.

Voto: 3,5/5 

 

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Ane

Anche con Ane ci troviamo di fronte a un'opera prima, quella di David Gómez Sañudo, regista di Bilbao, già prolifico e premiato autore di cortometraggi.

Siamo nei Paesi Baschi nel 2009. Lide (Patricia López Arnaiz) fa la guardia giurata nel cantiere dove si sta realizzando un tratto spagnolo della TAV, opera poco gradita agli abitanti del territorio e contro cui un gruppo di giovani organizza azioni dimostrative e di contrasto. Un giorno, tornata a casa, Lide scopre che sua figlia Ane, diciassettenne, non ha dormito nel suo letto. Ben presto la donna deve prendere atto della scomparsa della figlia, e per cercarla chiede aiuto al suo ex marito, Fernando.

La ragazza che dà il titolo al film per circa la metà di esso è un fantasma, un'assenza; sentiamo parlare di lei in maniere varie e contraddittorie che rendono la situazione sempre più misteriosa. Il film di Gómez Sañudo inizia dunque come un thriller per poi virare verso il dramma socio-politico; in realtà, però, l'uso dei generi è strumentale all'approfondimento di tematiche molto più intime e personali riferite primariamente al rapporto madre-figlia: la difficoltà di comprendersi nonostante l'affetto, il bisogno di proteggere della madre e quello di essere indipendente della figlia, il gap generazionale, il doloroso divaricarsi di un percorso.

Sullo sfondo un contesto non certo semplice come quello dei paesi baschi, sul quale pesa l'ombra pesante del terrorismo dell'ETA e della "quasi guerra civile" che li ha attraversati per anni, un luogo nel quale la spinta autonomista e il rifiuto delle imposizioni dall'alto sono particolarmente forti e sentite. Tutto questo però confluisce nel rapporto tra una madre che oscilla tra concretezza e disillusione e una figlia che è mossa dal sacro fuoco degli ideali della lotta.

Non è detto che questi due mondi riescano a incontrarsi da qualche parte.

Voto: 3/5



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Intemperie


Andalucia, 1946. La guerra è finita e il dittatore Francisco Franco è salito al potere, mentre tanti piccoli dittatori spadroneggiano nei latifondi della Spagna meridionale.

Un ragazzino (Jaime Lòpez) scappa dalla fattoria in cui uno di questi latifondisti senza scrupoli (Luis Callejo) vessa i suoi lavoranti trattandoli come schiavi e mantenendoli in una condizione di miseria estrema.

Il ragazzino è diretto in città, alla ricerca della propria libertà e con il sogno di riscattare la sua famiglia.

Ben presto però sulle sue tracce si mettono gli scagnozzi del padrone, cosicché egli è costretto ad attraversare a piedi un deserto riarso e ostile. Sul suo cammino incontrerà un pastore (Luis Tosar), ex soldato nella guerra in Marocco, diretto con le sue pecore e il suo asino a casa della sorella, che diventerà il suo "angelo custode" e una sorta di padre putativo.

Benito Zambrano adatta per il cinema il romanzo omonimo di Jesús Carrasco, costruendo un western anomalo di grande impatto visivo ed emotivo, incentrato sulla classica - e forse fin troppo semplicistica - contrapposizione tra bene e male, ma dentro una più complessa e articolata contestualizzazione storico-politica.

In essenza si tratta di un racconto di coming of age, una dolorosa e definitiva perdita dell'innocenza, un viaggio esperienziale al termine del quale il ragazzino che uscirà dal deserto non sarà lo stesso che vi è entrato, dopo aver conosciuto e affrontato la paura, la morte, la pietà, e aver fatto i conti con la malvagità e le bassezze umane proprie e altrui.

Sullo sfondo, una Spagna bellissima e ostile (fotografata o in pieno sole oppure con la luce magica del tramonto o dell'ora blu), in cui si respirano povertà e disuguaglianza, ma anche - grazie all'umanità e alla dignità che il pastore è riuscito a conservare nonostante e forse anche grazie alla guerra e che trasmette al ragazzino - la speranza di un futuro più giusto.

Registicamente il film di Zambrano è costruito su un ritmo sostenuto e incalzante, in cui la tensione cresce progressivamente, interrotta da brevi momenti di distensione.

A fare da cornice alla storia le canzoni eseguite dalla voce delicata di Silvia Pérez Cruz, una delle quali è stata premiata come miglior canzone originale ai Goya. 

Il film ha vinto il premio del pubblico al festival romano.

Voto: 4/5


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