domenica 31 gennaio 2021

Le inseparabili / Simone de Beauvoir

Le inseparabili / Simone de Beauvoir; postfazione di Sylvie Le Bon-de Beauvoir; trad. di Isabella Mattazzi. Milano: Salani, Ponte alle Grazie, 2020.

Esce in contemporanea in Italia e in Francia il romanzo di Simone de Beauvoir che, scritto nel 1954, era rimasto inedito, pare perché Jean Paul Sartre ne avesse dato un giudizio non positivo e avesse convinto Simone a non darlo alle stampe.

Le inseparabili
è un racconto fondamentalmente autobiografico e intimo che racconta l'amicizia decennale tra Simone ed Elisabeth Lacoin, detta Zaza, conosciuta a dieci anni a scuola e poi rimasta sua amica per tutta la breve vita di quest'ultima (Zaza morì a 21 per un'encefalite fulminante).

Nel libro Simone è Sylvie LeBon, mentre Zaza è Andrée. Le due si conoscono a scuola, dove fanno a gara per essere la prima della classe, e poi dopo un periodo di allontanamento - durante il quale Sylvie si accorge di quanto senta la mancanza dell'amica - non solo si ritrovano a scuola, ma passano insieme anche parte significativa delle loro vacanze, nella casa estiva della famiglia di Andrée.

Andrée conquista Sylvie con la sua vivacità e il suo anticonformismo - le appare diversa da tutte le altre persone che conosce - sebbene negli anni scoprirà che la vita di Andrée è molto più condizionata e costretta nelle scelte di quanto non appaia.

In questi anni di conoscenza e di assidua frequentazione, Sylvie sviluppa un'affezione che non faremmo fatica a chiamare "amore", se non fosse che il contesto lo tiene fortemente sotto traccia: le due giovani continuano a darsi del lei per tutta la vita e, quando Andrée si innamora prima di Bernard e poi di Pascal, l'amico di università di Sylvie, quest'ultima non si sottrarrà al ruolo di supporto e di aiuto verso l'amica per consentirle di realizzare il proprio sogno d'amore.

Il racconto ci offre uno spaccato di una società molto patriarcale e classista, in cui l'amicizia tra queste due donne non riesce a trovare uno spazio di libertà effettivo per potersi esprimere in tutta la sua pienezza, eppure - come sappiamo poi dalla storia - per Simone l'amicizia con Zazà fu determinante per tutto il suo futuro percorso umano e filosofico. Probabilmente si farebbe fatica a comprendere appieno Simone senza Zazà.

In questo senso il romanzo - pur nella sua apparente semplicità - è un documento storico di straordinario interesse e un tassello significativo per costruire adeguatamente il ritratto di Simone de Beauvoir. Il corredo iconografico, la trascrizione di alcune delle lettere che le due donne si scambiarono e la postfazione completano e illuminano un libro di cui altrimenti potrebbe non comprendersi l'importanza.

Voto: 3/5

mercoledì 27 gennaio 2021

Crepitio di stelle / Jón Kalman Stefánsson

Crepitio di stelle
/ Jón Kalman Stefánsson; trad. di Silvia Cosimini. Milano: Iperborea, 2020.

«Il cielo si fa scuro intorno a noi, è sera; s’illumina e poi diventa azzurro, è arrivato il giorno. Ma questo cielo, dimora di Dio e tetto sopra le nostre vite, non esiste da nessuna parte, se non nelle nostre teste. Il cielo è solo il termine con cui indichiamo una distanza incomprensibile – ed è lì che siamo diretti.

Le stelle brillano, i cani abbaiano, io racconto questa storia; non c’è nessuna differenza. Cerchi il principio e intanto racconti una storia, forse per non pensare che non esiste nessun cielo, nessun inizio, nessuna fine, solo un moto incessante, una distanza infinita e nient’altro.» (p. 201)

In questa luminosa pagina del romanzo, Jón Kalman Stefánsson, attraverso la sua prosa quasi poetica, si interroga su un tema antico quanto l’umanità stessa, ossia il senso – o forse meglio il nonsenso - della nostra esistenza umana, e professa la sua dichiarazione d’amore per le storie, vero e proprio antidoto all’infinito e insensato scorrere del tempo che tutto travolge e tutto assorbe.

Crepitio di stelle è uno dei primi romanzi di Stefánsson, solo ora tradotto e portato in Italia dalla casa editrice Iperborea, sulla scia del successo dei romanzi dell’autore già pubblicati in italiano. Il fatto che si tratti di uno dei suoi primi lavori spiega forse la necessità da parte dello scrittore di spiegare perché egli continui a frugare nelle memorie familiari e nelle storie del passato riportandole alla luce e fissando sulla carta la loro intrinseca volatilità.

In questo romanzo due sono le storie che si dipanano attraverso le pagine: le memorie dell’infanzia dello stesso narratore, all’epoca in cui abitava in una soffitta di Reikyavik insieme al padre dopo la morte prematura della madre (siamo negli anni Sessanta), e le vicende del bisnonno e della bisnonna agli inizi del Novecento.

E così, da una parte leggiamo di questo bambino che si ritrova di fronte alla necessità di affrontare un lutto, a un padre sempre più silenzioso, a una matrigna decisamente poco empatica, e si difende come può e nel modo in cui solo un bambino è in grado di fare: con la fantasia che gli consente di attribuire sentimenti e azioni all’esercito di soldatini che gli ha comprato lo zio dopo la morte della madre e mediante i giochi con gli amici del quartiere. Dall’altro conosciamo la storia del bisnonno, un uomo inquieto, sognatore e in parte inaffidabile, delle sue alterne fortune, e soprattutto dell’incontro con la bisnonna, una donna volitiva e con le idee chiare, con la quale mette al mondo quattro figli, tra cui il nonno materno del narratore.

Chi già ha letto altri romanzi di Stefánsson sa che lo scrittore non ama le narrazioni lineari, bensì si muove attraverso le storie in maniera evocativa e poetica, soffermandosi a volte su dettagli piccoli, altre volte lasciando al lettore il compito di intuire gli sviluppi, rispetto ai quali egli offre solo degli indizi. Quello che più interessa a Stefánsson è sottrarre le persone e le storie all’oblio della memoria, riportarle in vita almeno per il breve tempo della lettura, farle risuonare nelle vite degli altri e replicarle nel tempo perché non vadano perse.

Perché – come lui stesso ci dice nella citazione con cui ho aperto questo post – le storie sono l’unica cosa che abbiamo per contrastare il passare del tempo e l’eterno andare dell’universo senza alcuna direzione né intenzione.

Crepitio di stelle
è un titolo bellissimo, e anche solo per questo – per tacere dell’intensità emotiva di alcuni passaggi – il romanzo di Stefánsson merita di essere letto.

Voto: 3,5/5

domenica 24 gennaio 2021

Ogni cosa è bellissima, e io non ho paura / Yao Xiao

Ogni cosa è bellissima, e io non ho paura
/ Yao Xiao; trad. di Flavia Piccinni. Roma: Edizioni Atlantide, 2020.

Yao Xiao è una fumettista queer di origine cinese che vive a New York. In questo albo esteticamente bellissimo - per i colori e per la scelta dei materiali - ci propone un suo personalissimo percorso interiore finalizzato a una specie di riconciliazione con il proprio sé.

Xiao deve fare i conti da un lato con le origini cinesi e i legami familiari, nonché con il controverso rapporto con la città in cui vive e a cui sente di non appartenere fino in fondo, dall'altro con il suo orientamento sessuale e il suo essere queer, che si sommano ai già non pochi possibili motivi di razzismo nei suoi confronti.

Attraverso l'utilizzo di strisce e frammenti di racconto (ciascuno identificato da un titolo esplicitato solo in fondo) e di disegni semplici e nettamente contornati con colori molto saturi, Xiao trasforma il suo percorso interiore in un viaggio universale e poetico, fatto di tappe dalle mille sfumature: dolorose, piene di speranza, tristi, gioiose, strampalate, giocose, razionali, serie, oniriche, bizzarre.

Ciascuno avrà modo di entrare in sintonia con almeno uno di questi stati d'animo e delle situazioni che Xiao ci racconta. A chi poi ha lasciato il proprio paese per vivere e lavorare altrove, prendendo in parte le distanze dalla cultura di origine e facendo scelte personali non del tutto allineate, la sensazione di straniamento di Xiao risulterà molto familiare.

Per quanto mi riguarda alcune pagine hanno risuonato profondamente con il mio mondo (me stessa o le persone a cui voglio bene) e in alcuni casi ho trovato le osservazioni di Xiao illuminanti nella loro semplicità; altre pagine - soprattutto quelle più oniriche o narrativamente destrutturate - mi sono risultate più ostiche e meno comprensibili.

Forse l'albo meriterebbe una seconda lettura per soffermarsi di più sui disegni oltre che sulle parole e per comprendere meglio la sensibilità fragile e originale della sua protagonista.

Voto: 3,5/5

mercoledì 20 gennaio 2021

Il disagio della sera / Marieke Lucas Rijneveld

Il disagio della sera / Marieke Lucas Rijneveld; trad. di Stefano Musilli. Roma: Nutrimenti, 2019.

Era già un po' che avevo sentito parlare di questo romanzo e lo avevo aggiunto alla mia personale lista dei libri da leggere. Poi il mio amico M. mi scrive consigliandomene la lettura e quasi contemporaneamente scopro che il libro ha vinto l'International Booker Prize.

A quel punto comincio anche a documentarmi su Marieke Lucas Rijneveld, giovanissimɘ - è natɘ nel 1991 -, vive e lavora in una fattoria, preferisce che si utilizzi nei suoi confronti il pronome "loro", perché rifiuta il binarismo dei generi, scrive poesie (per le quali ha già vinto diversi premi), e per questo libro si ispira alla propria storia.

In pochi giorni compro il libro e inizio a leggere voracemente la storia di Jas, la ragazzina decenne protagonista di questa narrazione. Siamo in quella parte del Paesi Bassi dove regna l'ortodossia cristiana della Chiesa Riformata e Jas vive in una fattoria con i suoi genitori e i tre fratelli, due maschi e una femmina.

Un giorno Mathijes va a pattinare sul ghiaccio sull'altra riva e non torna più, inghiottito dal ghiaccio e dall'acqua gelida. Questo evento tragico manda in frantumi gli equilibri già precari della famiglia Mulder.

I genitori si chiudono in un mutismo inscalfibile: il padre si occupa a tempo pieno delle sue mucche e degli animali della fattoria, mentre la madre progressivamente smette di mangiare fino quasi a sparire. I tre fratelli reagiscono al lutto ciascuno a suo modo, abbandonati completamente a sé stessi. Jas - che si sente in colpa in quanto pensa che suo fratello sia morto perché lei ha pregato di non sacrificare il suo amato coniglio - mette addosso un giaccone e non lo toglie più, mentre la sua fervida immaginazione costruisce storie fantasiose per dare delle risposte alle sue inquietudini.

In un contesto caratterizzato dall'assenza di parole che non siano quelle della Bibbia, Jas e i suoi fratelli si trovano nella difficile condizione di elaborare il lutto in una condizione di vuoto affettivo e di povertà emotiva. I tre hanno età differenti che in parte ne giustificano risposte differenti: Obbe, il più grande, sceglie la strada della ribellione, Hanna, la più piccola, gode ancora di un'aura di ingenuità e spensieratezza.

Jas ha un'età difficile, in cui per certi versi si è ancora bambini e non si hanno gli strumenti per comprendere questioni complesse, ma per altri ci si sta già affacciando all'adolescenza con tutti i turbamenti e gli interrogativi che porta con sé.

Il libro di Marieke Lucas Rijneveld è la negazione di tutti i libri che hanno come protagonisti bambini felici, innocenti e zuccherosi. La sua visione dell'infanzia e dell'adolescenza è spietata e a tratti disturbante: le prime fantasiose esperienze sessuali, vissute tra l'altro tra fratelli, la promiscuità di una vita a stretto contatto con gli animali, i pensieri violenti e lugubri, le piccole e grandi meschinità, il rapporto irrisolto con la morte. Si è a tratti inorriditi dai pensieri e dalle azioni di questi bambini, e al contempo essi appaiono meno spaventosi proprio perché appartengono a ragazzini che non ne sono pienamente consapevoli o che non ne comprendono i significati e la portata "culturale".

Marieke Lucas Rijneveld ci mette di fronte a un'infanzia e a un'adolescenza non mitizzate ed edulcorate, come spesso la letteratura tende a fare, bensì scava nei meandri di menti attraversate da mille pensieri e turbamenti. E chiunque dei lettori provi a ricordare quell'età con onestà intellettuale non potrà che concluderne che Jas e i suoi fratelli non si possono derubricare come espressione di un mondo ignorante e rurale, ma rappresentano - seppure a volte in una forma estrema - il conflitto tra filtri culturali e istinto che appartiene a quell'età della vita, ma che molti fanno fatica ad ammettere.

Non per niente mi era piaciuto il libro di Amelie Nothomb, Sabotaggio d'amore, che pure offriva uno sguardo sulla "cattiveria" dei bambini, sdoganando un tema che temo sia uno dei più grandi tabù della nostra società.

Nel caso di Rijneveld questa verità ti arriva come un pugno nello stomaco, addolcito solo da un linguaggio poetico e fiorito di immagini e metafore ardite, spesso provenienti direttamente dal mondo rurale e naturalistico, che toglie alla narrazione parte di una crudezza che sarebbe altrimenti insostenibile. D'altra parte non si legge da nessuna parte del libro, nemmeno tra le righe, un giudizio nei confronti dei protagonisti di questa storia, prodotti quasi naturalistici di un processo che Rijneveld sembra constatare in fondo pacificamente e con mente aperta.

Il disagio della sera è un libro potente e probabilmente non adatto a tutti. Ma chi ci si accosta con la mente sgombra da pregiudizi e prosegue nella lettura senza giudicare troverà in questa storia e in questa scrittura una purezza espressiva davvero inusuale.

Voto: 4/5

domenica 17 gennaio 2021

Il sale della terra / Jeanine Cummins

Il sale della terra / Jeanine Cummins; trad. di Francesca Pe’. Milano: Feltrinelli, 2020.

Il libro di Jeanine Cummins mi aveva attirato fin da quando avevo letto per la prima volta la trama. Così è stato - fin dalla sua uscita - nella mia lista dei desideri e molto presto sul mio scaffale.

Questa estate è entrato nella pila dei libri da portare in vacanza e complice qualche giorno di malattia settembrina sono riuscita a terminarlo.

Devo dire che se avessi scritto questa recensione dopo aver letto il primo terzo del libro, il mio giudizio sarebbe stato molto differente. La parte iniziale racconta come Lydia e suo figlio Luca restano gli unici sopravvissuti della strage della loro famiglia ad Acapulco per mano di una gang di narcotrafficanti, Los Jardineros, e decidono – per sfuggire a morte certa – di mettersi in viaggio sul percorso dei migranti verso il norte, ossia verso gli Stati Uniti d’America.

In questa prima parte sono un po’ infastidita dalla presenza di una narratrice onnisciente che ci racconta i pensieri di tutti i protagonisti e ci svela i retroscena, a volte mettendo all’interno di alcuni di questi personaggi, penso al piccolo Luca che ha solo 9 anni, pensieri e riflessioni un po’ troppo adulte. Trovo inoltre la narrazione un po’ troppo didascalica, diciamo quasi “sceneggiata” (anche se so che il termine non è corretto), in quella maniera un po’ tanto americana che mi fa un po’ venire l’orticaria. Per un po’ sento quasi il desiderio di abbandonare la lettura. E dire che non avevo letto ancora nulla del dibattito suscitato dalla pubblicazione di questo romanzo e delle critiche dei messicani alla Cummins per il fatto che parla di cose che non conosce direttamente e forse ancora di più perché ha ricevuto un anticipo importante dalla casa editrice prima di iniziare a scrivere il libro.

Ignara di tutto ciò, decido di andare avanti perché il percorso dei migranti che dal sud e dal centro America cercano di superare il confine verso gli Stati Uniti carichi di sogni e di speranze, tra mille pericoli e orrori, è qualcosa che mi interessa molto e su cui voglio saperne di più.

E così nel prosieguo della lettura la mia attenzione cresce e anche la narrazione ho la sensazione che divenga più empatica, meno costruita a tavolino, che i personaggi acquisiscano una propria rotondità fino a trascinarci sui treni merci che prendono al volo, negli sgabuzzini dove si nascondono, nei deserti che attraversano, di fronte alle violenze e alle morti cui devono assistere o che devono subire.

Il racconto della Cummings non risparmia tutti gli orrori e le tragedie che questa traversata porta con sé, ma sceglie la strada della speranza e dell’ottimismo per riscattare almeno sulla carta tutti coloro che non ce l’hanno fatta.

È impossibile rimanere indifferenti di fronte a queste persone che seguiamo nel loro tentativo legittimo e in alcuni casi inevitabile di abbandonare la loro terra e cercare un futuro migliore e – come ci dice la scrittrice nella nota di lettura finale – per una volta vediamo i migranti non come una massa indistinta accomunata solo dal tentativo di raggiungere un posto dove sperano di trovare fortuna, ma come singole persone con la propria storia, i propri caratteri e desideri, la loro umanità o disumanità. Buttiamo lo sguardo anche dietro alcune etichette, per esempio quella di coyote, il termine con cui vengono identificati coloro che aiutano a pagamento i migranti ad attraversare il confine.

E capiamo che tutto è molto più complesso di quello che immaginiamo o di quello che vorremmo che fosse, e che questa non è una storia che possiamo far finta che non ci riguardi, perché ci riguarda tutti nella misura in cui è necessario cominciare a denunciare e a cambiare l’insensatezza di alcune leggi e costruire una visione e una possibilità diverse per il futuro.

«La mente ha i poteri magici. Gli esseri umani hanno i poteri magici». E gli esseri umani non si dividono in migranti e non. Non ce lo dimentichiamo. 

Comprendo le critiche al romanzo e in parte le condivido (è evidente che questo romanzo è scritto da qualcuno di estraneo alle vicende raccontate), però il fatto che esso sia in grado di suscitare empatia vero persone ed esperienze così lontane da noi credo sia un valore che non vada sottovalutato.

Voto: 3/5

mercoledì 13 gennaio 2021

Play with fire / Nicoz Balboa

Play with fire / Nicoz Balboa. Quartu Sant’Elena: Oblomov, 2020.

Dopo la bellissima sorpresa che era stata per me la lettura del primo albo di Nicoz Balboa, mi sono fiondata a comprare questo secondo lavoro, che conferma lo stile e le impressioni del primo, anzi direi che le rafforza.

Anche in questo caso più che di un romanzo grafico in senso stretto si tratta di un'autobiografia in forma di diario che si sviluppa su un periodo di diversi anni, all'interno del quale si aprono molti flashback riferiti a un passato più o meno lontano.

Lo stile di Nicoz è quello che abbiamo imparato a conoscere. Non c'è uno specchio della pagina ben definito né riquadri a delimitare le vignette. Disegni e testo fluttuano all'interno della pagina e in alcuni casi occupano ogni spazio possibile, un po’ come I tatuaggi che coprono il corpo di Nicoz. Il tratto è insieme cartoonistico e realistico e il testo scritto a mano, con tanto di cancellature e cambio di colore di penna (da nera a rossa), cosicché il tutto crea una sensazione di confidenza e di familiarità con la protagonista e la storia narrata.

Quello che sorprende – e che già mi aveva sorpresa nel primo albo – è la sincerità e la schiettezza con cui Nicoz mette a nudo sé stessa, le sue fragilità e i suoi dubbi, rafforzando l’impronta diaristica del racconto.

Al centro della narrazione c’è il complicato rapporto della protagonista non tanto con il proprio orientamento sessuale, quanto con la propria percezione di genere. Nicoz - che è stata sposata con un uomo e da questi ha avuto una figlia (storia in parte raccontata nel primo albo) - ci racconta di come ha scoperto l’amore per le donne, del suo coming out, dei lesbodrammi che l’hanno vista protagonista, ma soprattutto della difficoltà crescente a riconoscersi nel proprio corpo femminile senza riconoscersi necessariamente e del tutto in uno maschile, della curiosità verso i processi di transizione di genere, degli interrogativi sulla propria identità, della necessità di accettare la propria non univocità e le tante identità che ci abitano, che poi è parte centrale dell’accettazione di sé stessi e anche dei propri limiti.

Nicoz Balboa parla di temi delicatissimi e profondamente controversi senza infingimenti e con una naturalezza quasi disarmanti, cosicché il sentimento che suscita nel lettore non è scandalo né imbarazzo, bensì tenerezza verso un altro essere umano sinceramente alla ricerca di sé stesso e della propria felicità.

Non sono le anime inquiete che dovrebbero spaventarci, ma quelle monolitiche dietro le quali di solito si celano lacerazioni profonde e mai risolte.

Nicoz Balboa non si vergogna della sua ricerca continua, del suo essere multiforme e della sua insoddisfazione nei confronti della categorizzazione (basterà cercare su Google immagini che la ritraggono per coglierne la continua trasformazione), e in questo modo sottrae non solo sé stessa ma anche tutti coloro che vivono il medesimo senso di inquietudine a qualunque giudizio.

P.S. Leggo che Nicoz si identifica ormai come uomo transgender e chiede che si utilizzino per lui pronomi maschili oppure il pronome "loro", quindi il mio post da questo punto di vista è sbagliato. Non l'ho cambiato perché probabilmente quando Nicoz ha realizzato questo romanzo la transizione non era ancora a questo livello di consapevolezza, cosicché ho deciso di lasciare la recensione come l'avevo scritta.

Voto: 3,5/5

domenica 10 gennaio 2021

La casa sul lago / David James Poissant

La casa sul lago / David James Poissant; trad. di Gioia Guerzoni. Milano: Enne Enne editore, 2020.

La famiglia Starling si ritrova per un weekend nella casa sul lago che tanti anni prima Richard e Lisa hanno comprato e in cui loro e i due figli, Michael e Thad, hanno trascorso molte estati.

Ora i quattro, insieme a Diane, la moglie di Michael, e a Jack, il compagno di Thad, si ritrovano qui prima che la casa venga venduta e Richard e Lisa, una volta in pensione, si trasferiscano in Florida.

Il weekend, gravato da questa prospettiva, inizia con un evento tragico: durante una gita sul lago, il figlio piccolo di una coppia su un’altra barca cade in acqua e, nonostante il tentativo di Michael di salvarlo tuffandosi, muore.

Questo evento innesca una sorta di reazione a catena mettendo ciascun membro della famiglia di fronte ai propri demoni e fantasmi, e rivelando i segreti sottaciuti e le dinamiche irrisolte che attraversano questo nucleo familiare.

Poissant, spostando l’attenzione di volta in volta su ciascuno dei protagonisti, ci permette di conoscere i pensieri di ognuno e il suo specifico punto di vista sugli eventi, portando alla luce piccoli e grandi segreti che non sono stati condivisi con gli altri membri della famiglia.

Ne viene fuori il ritratto di una famiglia disfunzionale che sulle prime non appare diversa da tutte le altre famiglie disfunzionali raccontate dalla letteratura, soprattutto quella americana.

È per questo motivo che per tutta la prima metà del libro un sotterraneo senso di fastidio mi attraversa e non posso fare a meno di pensare che non ne posso più di queste storie di famiglie disfunzionali, in cui ciascuno cova un rancore nei confronti degli altri.

Poi, man mano che le pagine scorrono, i personaggi che inizialmente appaiono monodimensionali (Richard e Lisa si portano dentro il dolore inestinguibile della perdita di una figlia morta a un mese in culla, e il loro rapporto pur solido è minato da un tradimento di lui; Michael è un uomo frustrato dal suo lavoro e che non vuole affrontare la paternità che lo attende perché sua moglie è incinta e vuole tenere il figlio; Thad è uno scrittore di scarso successo e ha accettato un rapporto aperto con Jack, un artista egocentrico e incapace di un rapporto monogamico) cominciano ad acquisire sfumature sempre nuove, cosicché la gamma emotiva si amplia e diventa via via più coinvolgente.

È come se questo ultimo weekend al lago e l’annegamento del bambino funzionassero come miccia capace di far deflagrare tutti gli equilibri patologici che governano le vite di queste persone e aprissero la strada verso sviluppi imprevedibili, che potrebbero mandare tutto in cenere oppure creare nuove possibilità nel momento in cui ognuno si mette a nudo di fronte agli altri.

La lettura parallelamente cresce di intensità raggiungendo l’apice nella corsa all’ospedale verso il quale convergono tutti e sei i protagonisti, e dopo la quale nessuno di loro sarà più disposto a far finta di nulla.

Il finale, anzi i numerosi finali, uno per ciascun personaggio, commuovono e rappacificano, anche se proprio per questo motivo – guardati attraverso la lente razionale – appaiono un po’ troppo tranquillizzanti e da certi punti di vista poco credibili. La sensazione che si produce è un po’ quella del “…e vissero tutti e felici e contenti”, ma ormai siamo troppo grandi per credere alle favole e sappiamo bene che la fine della storia è sempre un punto discreto in quel continuum che è la vita e che per sua stessa natura non ama gli equilibri.

Poissant ci offre in ogni caso un punto di vista ulteriore sul mirabolante mondo dei rapporti familiari, sulle idiosincrasie che lo caratterizzano, sulle aspettative che si innescano e talvolta ci schiacciano, sulla difficoltà di essere sinceri e di mostrare quello che si è fino in fondo, sulle storie che ci portiamo dietro e dentro, su quanto sia più facile mettersi a nudo di fronte agli estranei che alle persone con cui abbiamo dei legami forti. In sintesi, di quanto noi esseri umani siamo complessi e la nostra potentissima mente spesso è il principale ostacolo alla nostra serenità.

Voto: 3,5/5

giovedì 7 gennaio 2021

L’Arminuta / Donatella Di Pietrantonio

L’Arminuta / Donatella Di Pietrantonio. Torino: Einaudi, 2019.

La protagonista del romanzo di Donatella Di Pietrantonio è una ragazzina di 13 anni che un giorno viene accompagnata dal padre a casa di quella che le viene presentata come la sua vera famiglia. Da un giorno all’altro, la ragazzina si trova catapultata da una vita di sostanziale agio e buona educazione in una in cui il padre prova a sbarcare il lunario come può senza riuscirci veramente, la madre burbera si occupa della casa e dei figli, e questi ultimi, quattro maschi e una femmina, sopravvivono come possono.

Per l’arminuta (la ritornata in dialetto) sarà un capovolgimento non facile da accettare: innanzitutto perché è stata tenuta per 13 anni all’oscuro di tutto e ora vuole capire la sua storia e perché quelli che ha creduto essere i suoi genitori l’hanno cresciuta per tanti anni e poi rispedita al mittente; in secondo luogo perché la nuova vita la mette di fronte a una condizione e a persone rispetto alle quali si sente completamente estranea e che inizialmente rifiuta con tutta sé stessa.

Pagina dopo pagina vediamo però la ragazzina trovare non solo la forza di adattarsi alla nuova realtà, ma anche affezionarsi ad alcuni membri della sua famiglia, in particolare ad Adriana, la sorella più piccola che riconosce così vitale e fragile al contempo, e che si porrà l’obiettivo di salvare tirandola fuori dai bassifondi nei quali vive.

In questa adolescenza dai contorni inaspettati che si trova a vivere, l’arminuta conoscerà il dolore, la morte, il conflitto, i primi turbamenti, l’amore nelle sue tante sfaccettature, cosicché quando dovrà affrontare la verità non sarà più la bambina di città che è stata abbandonata ma una ragazza che si incammina molto più consapevole verso la vita adulta, avendo compreso che la realtà è più complessa di come la immaginiamo e che niente va giudicato esclusivamente dall’apparenza.

Il romanzo è narrato in prima persona dalla protagonista e la Di Pietrantonio mette una particolare cura nella scrittura e nel linguaggio utilizzato, che sono sicuramente uno dei punti di forza del libro, il fattore principale che tiene il lettore avvinto alle pagine.

Non posso dire che la storia mi sia risultata particolarmente originale e alcuni elementi del rapporto tra l’arminuta e la sorella “povera” mi hanno ricordato un po' troppo quello tra Lila e Lena dell’Amica geniale.
La lettura nel complesso risulta gradevole e la storia avvincente quel tanto che basta per divorare il romanzo in una intensa sessione di lettura.

Voto: 3/5

lunedì 4 gennaio 2021

Takk. Perdersi in Islanda / Epi

Takk. Perdersi in Islanda / Epi. Padova: BeccoGiallo, 2019.

Nel sognare un viaggio in Islanda (che causa Covid si allontana sempre di più), comincio a leggere tutto quello che trovo sul paese che vorrei visitare e così mi imbatto in questo graphic novel di Epi, una giovane italiana prima capitata per caso e poi innamoratasi follemente del paese di ghiaccio e fuoco.

Epi aveva chiesto di andare in Irlanda, ma qualcuno ha capito male e così si è ritrovata in Islanda tra i lazzi e gli scherni degli amici. Quello che era iniziato come un viaggio sbagliato si trasforma però nell’incontro con una cultura e un mondo pieno di sorprese, al punto tale che la ragazza decide di dedicare un intero fumetto a raccontare l’Islanda e gli islandesi.

Il graphic novel si articola in capitoli, brevi o piuttosto lunghi a seconda dei casi, ciascuno dedicato a un argomento centrale per comprendere questo popolo e questo paese, ma anche ricco di consigli pratici su cosa fare e come comportarsi da turisti in Islanda. Si va così dal racconto relativo alla capitale Reykjavik alle grandi bellezze naturali, come ghiacciai, fiordi, vulcani, cascate, dalla presentazione della cucina islandese (pesce, carni e dolci) alla descrizione del suo clima, dai temi politici come la crisi finanziaria e i rapporti con la Russia alla mitologia norrena. Non mancano aneddoti seri e divertenti, non solo sugli islandesi ma anche sui turisti, e suggerimenti di vario tipo su cosa e come visitare questo paese.

La lettura è gradevole, anche se a volte il testo scritto è molto fitto e un po’ faticoso da leggere; però la simpatia di Epi, e soprattutto la sua ironia e autoironia sono delle guide di viaggio speciali e insostituibili che ci permettono di andare al di là della versione stereotipata dell’Islanda e dell’immagine venduta dal marketing turistico per comprendere e amare un paese ben più complesso e contraddittorio di quanto di solito non appaia o non ci si voglia far credere, ma anche per questo molto più interessante e sfaccettato.

A questo punto la mia curiosità in merito all’Islanda si può dire aumentata esponenzialmente e, se già prima questo paese era in cima alla mia lista ideale dei posti da visitare al più presto, a questo punto comincio a intravedere all’orizzonte la possibilità che questo sogno si trasformi in realtà (Covid permettendo).

Consigliato a tutti coloro che stanno per partire per l’Islanda, ma anche a quelli che semplicemente vogliono capirci di più di questo paese superando quella visione edulcorata che spesso i nostri media ci propinano.

Voto: 3,5/5