venerdì 18 settembre 2020

Non conosci Papicha

Mounia Meddour è una regista franco-algerina che con il film Non conosci Papicha fa per la prima volta il salto dal documentario alla fiction.

Questa sua opera prima nell'ambito della fiction è ambientata negli anni Novanta ed è la storia di Nedjma (interpretata dalla splendente Lyna Khoudri), una giovane che studia all’università e sogna di fare la stilista.

Nella prima, bellissima sequenza del film, vediamo Nedjma che, insieme alla sua amica Wassila (Shirine Boutella), scappa di notte dal campus universitario nel quale vive per prendere un taxi illegale che le porterà in discoteca. Nel taxi le due ragazze si cambiano per essere consone alla serata e – nonostante il posto di blocco – riescono ad arrivare nel locale dove Nedjma vende i vestiti che cuce.

Fin qui – a parte il posto di blocco – sembrerebbe la storia di una qualunque studentessa universitaria che coltiva i propri sogni e ambizioni e nel frattempo desidera divertirsi insieme alle proprie amiche.

Questo esordio è però il termine di paragone che ci rimarrà negli occhi man mano che il film, proseguendo nella narrazione, ci mostrerà un’Algeria che sta rapidamente trasformandosi in un paese in cui il conflitto sociale è sempre più forte, l’integralismo sempre più pervasivo e la vita delle donne sempre più difficile e meno libera.

Documentandomi dopo la fine della visione, leggo che gli anni Novanta sono stati un momento decisivo per la storia recente dell’Algeria: prima l’ascesa al potere del fronte islamico, poi il colpo di stato dei militari trascinarono il paese in una sanguinosa guerra civile di cui sono state vittima decine di migliaia di civili. Contemporaneamente si è assistito alla diffusione del fondamentalismo islamico che ha lasciato sempre meno libertà a modi differenti di vivere, costringendo moltissime persone a fuggire o a convertirsi, per evitare la morte e gli attentati.

È in questo clima socio-politico che si muove Nedjma, una papicha, una giovane alla moda che si veste con i jeans, non porta l’hijab, ascolta musica americana e ha una visione libera del proprio futuro e per questo è stigmatizzata; dopo l’assassinio della sorella giornalista, Nedjma decide di organizzare una sfilata di moda nel campus, i cui abiti saranno tutti realizzati utilizzando gli haik, il tradizionale tessuto rettangolare di colore bianco che copre il corpo delle donne arabe, che Nedjma reinventerà in maniere del tutto originali e affascinanti per valorizzare il corpo femminile e non per mortificarlo.

Purtroppo questa iniziativa dovrà fare i conti con un contesto sempre più ostile, in cui gli uomini si fanno sempre più aggressivi e le donne si fanno manipolare.

Lo spirito fiero e determinato di Nedjma, che si regge sulla “quasi sorellanza” con il suo gruppo di amiche, le consentirà di raggiungere il suo obiettivo, ma il prezzo da pagare per chi, come lei, non intende né scappare né sottomettersi, sarà troppo alto.

Il film di Mounia Meddour, ispirato alla propria storia personale, si sviluppa in un crescendo di tensione in cui lo spettatore, insieme a Nedjma, si sente sempre più intrappolato e senza via di uscita. La regista però non si limita a mostrarci solo le brutture della repressione islamica, bensì si sofferma anche e soprattutto sulla bellezza delle mani di Nedjma che tracciano schizzi su un taccuino e trasformano stoffe “anonime” in vestiti dotati di personalità.

Le modalità narrative risentono delle specificità tipiche della cinematografia mediorientale, soprattutto nel compiaciuto indugiare sul dettaglio e nell'approccio all’intreccio narrativo (nel quale restano alcuni buchi che la regista non si preoccupa di colmare), ma l’impianto è perfettamente riconoscibile sia a livello strutturale che emotivo per un pubblico occidentale, suggerendo la condizione di una Algeria e della donna algerina come in bilico tra due mondi, che in Nedjma e nelle sue amiche potrebbero trovare una sintesi fautrice di nuova ricchezza e invece sono destinati a inaridirsi nel monopensiero di un integralismo miope e abietto.

Il fatto che il film sia stato censurato in Algeria la dice lunga sull’eredità che gli anni Novanta hanno lasciato nel paese e anche sulle contraddizioni che caratterizzano anche il momento storico che stiamo vivendo.

Voto: 3,5/5

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