sabato 4 aprile 2020

Father and son

In questo periodo di isolamento forzato e di lontananza dal grande schermo, dopo qualche giorno di disorientamento e successivo assestamento ho cominciato a sentire la mancanza del cinema. E così, quando Mymovies ha proposto una programmazione cinematografica in streaming gratuito sul suo sito, mi ci sono fiondata. Mi è subito caduto l'occhio su Father and son, un film di Kore-Eda Hirokazu che avevo perso a suo tempo quando era uscito al cinema.

Nonostante qualche problema di connessione, ho potuto pienamente apprezzare il film, visto tra l'altro in lingua originale con sottotitoli.

Il tema della famiglia e dei legami di sangue - come sappiamo - è assolutamente centrale nella poetica del regista giapponese e torna a più riprese nel suo film (io ho amato particolarmente Un affare di famiglia).

In Father and son la premessa è drammatica: Nonomiya Ryota, architetto affermato e benestante, e sua moglie Midori ricevono una telefonata dall'ospedale dove sei anni prima è nato il loro figlio Keita e scoprono nell'incontro successivo con il direttore che c'è stato uno scambio di neonati. Il loro figlio biologico è Ryusei, primogenito di una coppia modesta che abita in provincia.

Da questo momento le due famiglie cominciano a frequentarsi per conoscere i rispettivi figli e per arrivare a una decisione condivisa.

In realtà è Nonomiya che tiene le redini del processo e che tende a orientare le decisioni o a imporre il suo punto di vista a una moglie molto arrendevole da un lato e a una famiglia molto semplice come quella di Ryusei dall'altro.

La decisione però porta in superficie molte dinamiche e sentimenti apparentemente sepolti e/o tenuti sotto controllo e costringe Nonomiya a fare i conti con l'eredità che suo padre gli ha lasciato per continuità o antitesi.

Di fronte alla domanda centrale del film "che cosa significa essere padre e di cosa si sostanzia il rapporto tra un padre e un figlio" il regista moltiplica i punti di vista, esplodendo il dissidio interiore di Nonomiya attraverso gli sguardi degli altri: quello generoso e accogliente delle due madri, quello spaesato dei bambini che oscillano tra fiducia e incomprensione, quello dell'altro padre, Yudai, che pur essendo avido, inaffidabile, scansafatiche e pure un po' squallido, ha un rapporto affettuoso e profondo con i suoi figli, quello dei nonni la cui esperienza di vita non riceve la giusta attenzione.

E alla fine il cuore del problema sta sempre nello stesso punto: le aspettative che i legami di sangue portano con sé, quelle che sono state proiettate su di noi e a cui abbiamo provato a sfuggire e quelle che proiettiamo su chi viene dopo di noi e che consideriamo la nostra eredità, quando invece accettare e accogliere sono l'essenza dell'amore, primo tra tutti quello tra padri e figli.

Tutto questo Kore-Eda lo racconta con quel tocco leggero che lo contraddistingue, senza mai cadere nel melodrammatico, bensì restituendoci nella sua complessità le mille sfaccettature della commedia della vita.

I bambini sono meravigliosi nella loro freschezza e spontaneità (Kore-Eda è un regista che riesce a filmare straordinariamente i bambini), ma sono circondati da un cast di grande livello nel quale oltre a Lily Franky (presente anche in Un affare di famiglia) non poteva mancare l'attrice feticcio di Kore Eda, Kirin Kiki, purtroppo da poco scomparsa.

Un film che è un massaggio per l'anima e che conferma le grandi doti del regista giapponese nel trasformare lo straordinario in ordinario abbassando il tono emotivo senza sminuirlo mai.

Voto: 4/5

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