martedì 7 gennaio 2020

Isola / Siri Ranva Hjelm Jacobsen

Isola / Siri Ranva Hjelm Jacobsen; trad. di Maria Valeria D'Avino. Milano: Iperborea, 2018.

È un libro strano quello della scrittrice danese dal nome lunghissimo e dalle origini faroesi. In giro se ne legge come di na saga familiare e questo è stato uno dei motivi per cui l'ho comprato, essendo io un'appassionata del genere.

Ma ora, al termine della lettura, non sono sicura che si possa definire così. Direi piuttosto che Isola è un libro di memorie - vissute e sentite raccontare - trasformate in poesia.

La storia è quella di Fritz, uno di cinque fratelli, che un giorno lascia il suo villaggio di origine nelle isole Faroe e decide di andare a cercare fortuna in Danimarca, e lì viene poi raggiunto dalla sua promessa sposa Marita. Si tratta rispettivamente di abbi (nonno) e omma (nonna) della narratrice. Mentre in Danimarca i due mettono radici, hanno una figlia e poi dei nipoti, il legame con il resto della famiglia e con la terra d'origine resta forte, per quanto a volte negato o sottaciuto.

Il racconto della storia di Fritz e Marita è non solo uno sguardo sui sentimenti inevitabilmente controversi di chi lascia la propria terra di origine, con la quale sviluppa un rapporto di amore/odio, ma anche una riflessione su una terra, le Faroe, e un popolo, i faroesi, orgogliosi e indipendenti, ostili e affascinanti, il cui rapporto con il resto del mondo resta controverso.

Per questo l'allontanamento di Fritz e Marita e la loro scelta di vivere in Danimarca e insegnare il danese ai loro figli rappresentano una sorta di tradimento e una specie di punto di non ritorno, in parte subito e in parte voluto dai suoi stessi protagonisti.

Ma l'originalità del romanzo della Jacobsen sta nel fatto che la narrazione non procede cronologicamente, né l'interesse principale della scrittrice sembra essere propriamente l'ordinata ricostruzione dei fatti; piuttosto la Jacobsen sembra interessata a raccontare gli stati d'animo e lo spirito dei luoghi e a fissare su carta mediante lo strumento della scrittura i racconti, le leggende, gli aneddoti, le suggestioni, le mezze verità che dalla sua terra e dalla sua famiglia di origine sono filtrati attraverso la sua infanzia fino all'età adulta.

Ne viene fuori un ritratto acquarellato di un mondo che va ben al di là della sua realtà fisica e che assume contorni fantastici e poetici grazie al filtro del racconto e dell'immaginazione.

Man mano che la Jacobsen si muove con parole leggere ed evocative nei vari luoghi delle Faroe che appartengono alle memorie familiari è normale che al lettore non sia sufficiente gettare un occhio alla cartina disegnata nella prima pagina del romanzo, bensì desideri visualizzare questi luoghi cercando immagini su Internet. Ed è a dir poco sorprendente come quello che si legge - e che ha molto poco di descrittivo - riesca a suggerirci una rappresentazione emotiva molto precisa, forse più precisa, di quello che si vede in fotografia.

All'ultima pagina viene voglia di prendere un aereo e partire per respirare queste isole lontane eppure connesse al tutto, perché «Laggiù, sotto il mare, s'incontrano tutte le terre emerse. Lì ha luogo il dialogo mormorante delle placche tettoniche».

E si conferma ciò che ho sempre pensato: le isole - a ogni latitudine - hanno un fascino misterioso che si esplica nel confine sottile esistente tra una solitudine che rigenera e un isolamento che angoscia.

Voto: 3,5/5

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