domenica 14 luglio 2019

La mia vita con John F. Donovan

La prima produzione hollywodiana di Xavier Dolan, regista ancora giovane ma già cult, di cui ho visto quasi tutti i film e che amo molto, ha alle spalle una realizzazione travagliata il cui risultato è probabilmente il compromesso migliore che il regista canadese è riuscito a trovare dopo i tagli (tra cui quello importante del ruolo di Jessica Chastain) e le ricuciture.

L'idea di fondo - come sempre nei film di Dolan - è molto personale: Rupert Turner (Jacob Tremblay) è un bambino di 11 anni che ha una passione smisurata per l'attore John F. Donovan (Kit Harington), all'apice del successo all'inizio degli anni Duemila quando il bambino decide di scrivergli una lettera da cui inaspettatamente inizierà una corrispondenza sorprendente e a certi occhi scandalosa.

Questa storia viene raccontata dieci anni dopo dallo stesso Rupert, ormai adulto e attore, dopo la pubblicazione di un libro che contiene le loro lettere, durante una intervista con una giornalista inizialmente scettica e disinteressata (Thandie Newton). Ne vengono fuori due vite per certi versi diversissime e lontane anni luce, ma incredibilmente accomunate - nonostante le differenze di età - da condizioni e sentimenti che permettono ai due di capirsi e di aprirsi.

Il film si apre sulla morte (forse il suicidio?) di John F. Donovan nel 2006 e il modo in cui il piccolo Rupert ne viene a conoscenza; poi si torna al presente e all'incontro tra Rupert adulto e la giornalista; quindi si prosegue per tutto il film in questo andirivieni temporale, spostandosi a seconda dei casi dalla vita di Donovan a quella di Turner.

Certamente il film vuole essere una riflessione sulla tossicità della fama (e della solitudine affettiva che spesso porta con sé), ma anche sull'importanza dei modelli, da quelli più vicini (mamme, fratelli e insegnanti) a quelli più lontani (come sono appunto i nostri idoli).

Nella confezione si riconosce lo stile dolaniano sia nel modo di girare (telecamere attaccate ai volti dei protagonisti, gioco di sfuocato e messa a fuoco ecc.), sia nell'apparato musicale (con un tripudio di canzoni pop, la cui scelta invero in questo caso mi è sembrata più banale del solito), sia nella narrazione (che alterna accelerazioni e rallentamenti, momenti sincopati ad altri più distesi, e che viaggia sempre un po' sopra le righe). Anche nei contenuti i temi cari a Dolan ci sono tutti: i rapporti madre-figlio, le figure di madri isteriche, l'assenza dei padri, l'omosessualità, l'adolescenzialità ecc..

Il fatto è che questo stile e questi temi che hanno reso i film di Dolan unici e riconoscibili qui appaiono quasi di maniera e il cast di stelle non serve a compensarne i difetti: come se qualcuno avesse fatto un film alla maniera di Dolan, utilizzando i suoi stilemi e le tematiche da lui preferite, ma senza ottenere lo stesso risultato di verità e sincerità che di solito traspare dai film del giovane regista.

Nel complesso dunque un film un po' rattoppato da ogni punto di vista, che finisce per risultare un po' legnoso e poco credibile, e dunque lascia l'amaro in bocca. Consideriamolo una tappa di crescita, un passaggio in qualche modo necessario che certamente non resterà alla storia come uno dei suoi migliori film ma che non costituirà un impedimento al percorso di crescita del regista che sono sicura ci sorprenderà ancora grazie alle molte frecce al suo arco.

Voto: 2,5/5


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