mercoledì 6 marzo 2019

Copia originale

Il film di Marielle Heller, Copia originale (che sinceramente io avrei mantenuto con il suo titolo inglese Can you ever forgive me?), è tratto dal libro autobiografico di Lee Israel, una scrittrice newyorkese di origine ebrea, famosa prima per aver scritto alcune biografie romanzate, poi per aver realizzato false ma credibilissime lettere di personaggi famosi dell'Ottocento e del Novecento da vendere sul mercato dei collezionisti.

Lee Israel (la grande Melissa McCarthy) è sovrappeso, alcolista, lesbica (ma abbandonata dalla compagna Elaine), depressa, si veste in maniera trasandata e fuori moda e non ha peli sulla lingua. Vive in totale solitudine in un appartamento infestato dalle mosche insieme alla sua amatissima gatta e si ritrova a un certo punto, a causa del suo brutto carattere, senza lavoro e senza un centesimo, abbandonata anche dalla sua agente che le rimprovera di essersi alienata tutti i contatti che le aveva procurato.

Siamo a New York negli anni Novanta.

Quando Lee trova per caso, in un libro consultato alla New York Public Library, alcune lettere di Fanny Bryce, decide di rubarle e venderle ad Anna (Dolly Wells), una libraia di cui conquista la fiducia e poi anche l'amicizia; capisce così che quello delle lettere dei personaggi famosi è un mercato molto ricco e promettente e decide - anche sfruttando la sua conoscenza delle biografie di molti personaggi - di confezionare, con ogni cura e verosimiglianza, delle lettere false, la cui vendita le garantisce una rendita cospicua.

In questo losco affare Lee si fa aiutare a un certo punto da Jack (Richard E. Grant), un omosessuale, anche lui alcolista e malato di solitudine, che vive alla giornata e sbarca il lunario come può. I due diventano compagni di bevute e di affari, fino a che la truffa messa in piedi da Lee non viene scoperta e i due non vengono condannati.

Quella della Heller è una commedia di ambientazione newyorkese che a questo "genere" cinematografico strizza pesantemente l'occhio nella scelta della colonna sonora (dove trovano posto anche Dinah Washington e Chet Baker) e nel modo convenzionale di rappresentare la città (dallo skyline illuminato al Brooklyn Bridge coperto di neve); però dentro questo confezionamento classico da commedia "romantica" la regista mette tutto sottosopra: al centro c'è una coppia che rappresenta il rovesciamento e la negazione di qualunque cliché della coppia romantica e fa cantare Goodnight ladies in un tipico night newyorkese al transessuale Justin Vivian Bond (già visto in un altro film di ambientazione newyorkese, Shortbus).

Anche grazie a questo azzeccatissimo mix, i due protagonisti, che hanno fatto del cinismo e del sarcasmo verso il mondo (fino allo scherzo organizzato e deliberato a danni dei loro "nemici") la loro personale corazza a protezione delle loro fragilità e della profonda tristezza e solitudine che li caratterizza, sprigionano una tenerezza infinita e non si può fare a meno di adorarli.

Un film che non è in alcun modo moralistico, bensì spinge a guardare sempre quello che si nasconde dietro l'apparenza delle persone per comprenderne davvero i comportamenti e i modi di essere.

Voto: 3,5/5

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