mercoledì 27 febbraio 2019

Il primo re

All'interno di un panorama del cinema italiano tendenzialmente ripiegato sulla dimensione privata o sociale e oscillante tra la commedia più o meno impegnata e il registro drammatico, il film di Matteo Rovere (già regista dell'apprezzato Veloce come il vento, che io però non ho visto) rappresenta un'operazione coraggiosa e certamente ambiziosa.

Il primo re racconta infatti la storia di Romolo (Alessio Lapice) e Remo (Alessandro Borghi) e della loro estenuante lotta per la sopravvivenza in un'epoca di feroce violenza e per la conquista di una terra dove fondare una nuova città che diventerà nel giro di qualche secolo il grande impero romano.

Siamo nel I sec. a.C. e l'uomo è ancora totalmente indifeso di fronte a una natura prevalente e minacciosa: Romolo e Remo vengono sopresi da un'alluvione che spazza via la loro terra e li rende prigionieri della popolazione di Alba, lasciando Romolo in fin di vita. Destinati a morte certa, i due fratelli guidano la rivolta dei prigionieri e scappano portando con sé il fuoco sacro e la vestale che lo protegge, alla ricerca di un luogo sicuro dove stanziarsi. Individuano questo luogo sull'altra sponda del Tevere che però, per essere raggiunta, richiede l'attraversamento di una foresta abitata da spiriti maligni e da sanguinari guerrieri.

È il coraggio di Remo che, oltre a proteggere e salvare il fratello in più circostanze, permette a questa "accozzaglia" di derelitti senza patria di sconfiggere i nemici che incontrano sul loro cammino e di raggiungere la "terra promessa". Sui due fratelli incombe però il volere degli dei, presagito grazie all'arte aruspicina, che preannuncia la morte di uno dei due fratelli per mano dell'altro e la nascita del nuovo regno.

Da un lato c'è Remo il cui coraggio, forza, carisma e abnegazione rendono naturalmente capo di questa costituenda comunità (il vero "primo re"), ma che non riconosce la superiorità divina e si fa sempre più tracotante e sprezzante, dall'altro c'è un Romolo debole e sofferente, totalmente sottomesso alla divinità e che finirà per compierne la volontà uccidendo il fratello.

Ironicamente si potrebbe commentare che questa grande civiltà da cui proveniamo poteva nascere da un uomo che credeva in sé stesso e nelle potenzialità dell'umanità piuttosto che in un destino determinato dalla volontà degli dei, e invece è finita nelle mani di un uomo che mette il suo futuro regno sotto la protezione della divinità.

Non sono in grado di dire, né mi interessa particolarmente verificare quanta e quale parte della narrazione de Il primo re corrisponda alla verità storica, anche perché si tratterebbe quasi certamente di un'operazione quasi impossibile visto che parliamo di un'epoca le cui fonti attingono più spesso al mito e alla leggenda che alla realtà di fatti pressoché inconoscibili.

La narrazione di Mattia Rovere appare però convincente e verosimile - entro i limiti del possibile - e ci catapulta in un mondo in cui il confine tra la vita e la morte è incredibilmente labile e la sopravvivenza passa inevitabilmente attraverso la guerra e la violenza degli uomini contro gli uomini, ma anche contro la natura. La scelta delle ambientazioni (con le bellissime immagini di Daniele Ciprì in una foresta dai cui alberi filtra la luce del sole e dal cui terreno sale la nebbia) conferisce a questo film un'atmosfera quasi priva di artificiosità (anni luce lontana ad esempio da film come 300), richiamando alla mente semmai lo stile di alcuni film di Mel Gibson come Apocalypto e anche La passione di Cristo. Anche l'uso di un latino arcaico, sottotitolato in italiano, appare coerente con le scelte di fondo.

Se non amate gli scontri cruenti tra uomini che lottano a mani nude e con armi primitive e lo schizzare del sangue forse non è il film per voi (e in parte non lo è neanche per me), ma l'operazione compiuta da Matteo Rovere - anche grazie ai soldi belgi - riporta il cinema italiano a un genere ormai dimenticato e lo fa con cura e attenzione e senza calcare eccessivamente la mano - a parte pochi passaggi - su un'epicità fine a sé stessa.

Voto: 3,5/5

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