lunedì 19 novembre 2018

Widows - Eredità criminale

Succede così in quelle serate in cui non c’è un film che si vuole assolutamente vedere e si continua a rimanere indecisi su cosa scegliere. Alla fine si sceglie sulla base di parametri quasi insondabili e spesso si rimane delusi.

È quello che è accaduto a me nell’andare a vedere Widows. Qualche sospetto mi era già venuto leggendo la trama, però - considerato che il regista è Steve McQueen, quello di Hunger, Shame e 12 anni schiavo - ho ritenuto di potermi aspettare qualche sorpresa e di poter apprezzare qualcosa che non è esattamente nelle mie corde.

E così eccomi a vedere quello che ho imparato essere un “heist o caper movie”, praticamente quel sottogenere cinematografico in cui al centro della trama c’è un grosso colpo, ossia una banda di criminali e una rapina con un bottino molto consistente.

In quest’ultimo film di McQueen la banda c’è: è formata da tre donne (che poi diventano quattro), mogli di tre rapinatori che a loro volta formavano una banda e sono morti durante l’ultimo colpo non riuscito. Il bottino pure c’è: si tratta dei 5 milioni di dollari che sono conservati in una stanza blindata della casa dove vive il candidato bianco al Consiglio comunale di un quartiere nero di Chicago Jack Mulligan (Colin Farrell) con suo padre Tom, lui pure politico (Robert Duvall).

Il motivo per cui le donne si imbarcano in questa impresa è perché nel colpo in cui sono morti i loro mariti sono stati rubati e poi andati in fumo nell’incendio successivo due milioni di dollari appartenenti a Jamal Manning, anch’egli candidato al Consiglio comunale, e a suo fratello Jatemme, due boss neri della zona, che a questo punto rivogliono indietro i loro soldi.

Fin qui si potrebbe dire che si tratta di un intreccio classico e già visto più volte al cinema, sebbene il fatto che le protagoniste siano tutte donne che prima di reinventarsi ladre svolgevano vite più o meno normali rappresenti certamente un elemento di sorpresa e originalità.

In realtà il plot si rivela via via più complesso e articolato e le cose mostrano il loro vero volto che non sempre è quello che appare. C’è però qualcosa in questo intreccio che per me è risultato un po’ faticoso e soprattutto poco credibile, così come ho trovato a più riprese i dialoghi poco convincenti e discontinui, nel senso che ci sono pezzi di sceneggiatura anche molto belli che però appaiono in qualche modo appiccicati alla trama.

Dentro il film confluiscono generi cinematografici diversi, dal succitato heist movie all’action movie, dal pulp tarantiniano all’affresco sociale fino alla più classica delle storie di riscatto e rivendicazione femminile; non mancano nemmeno gli inserti ironici. Ma tutto questo a me non è sembrato che trovasse una piena armonia.

Non c’è dubbio che l’elemento più interessante e originale del film stia in alcune scelte e invenzioni registiche: l’incipit è un vero e proprio colpo da maestro, nell’alternarsi delle fasi della rapina e di una scena di intimità tra due dei protagonisti, Harry (Liam Neeson) e sua moglie Veronica (Viola Davis); anche il percorso in macchina del candidato Jack Mulligan in cui ascoltiamo il dialogo con la sua assistente, ma in un lungo piano sequenza vediamo scorrere le immagini del quartiere da una telecamera posizionata sul cofano della macchina è decisamente una scelta originale. Solo per limitarsi alle cose che colpiscono di più.

Però un film non si può reggere solo sul virtuosismo registico quando manca un’armonia tra tutte le altre sue componenti. E a me è mancata appunto quest’armonia che mi ha fatto vivere la visione in maniera quasi sincopata e poco partecipe. Magari non era la sera giusta per vederlo, considerato che le recensioni sembrano essere tutte piuttosto positive. Ma tant’è!

Voto: 2,5/5


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