mercoledì 24 gennaio 2018

Poesía sin fin

La visione di Poesía sin fin, l'ultimo film che Alejandro Jodorowsky è riuscito a realizzare grazie al crowdfunding e che - per effetto del passaparola - sta continuando a fare pubblico al di fuori dei canali tradizionali di distribuzione, costituisce un altro dei miei esperimenti per avvicinarmi a cose che non conosco.

Non sapevo nulla di Jodorowsky prima di questo film, se non quanto avevo rapidamente letto sulla pagina di wikipedia, però avevo sentito parlare molto bene di questo film in vari contesti.

Come sempre, non è stato difficile trascinare in queste mie "avventure culturali" anche F. che a sua volta è riuscita a portare con sé R. Arriviamo al Detour con congruo anticipo per prendere i biglietti, poi andiamo a mangiare una cosina, ma quando torniamo i posti migliori sono già tutti presi. Ci sediamo dunque alle sedie laterali, non proprio comodissime, ma funzionali.

Il film dura più di due ore e racconta in maniera autobiografica e con un linguaggio tra il naif e il surreale come Alejandro sia diventato un poeta: dal momento in cui ha lasciato il suo paese d'origine per seguire i suoi genitori a Santiago al rinnegamento delle origini ebree della sua famiglia, alla prima esperienza da solo nella casa di un'artista post-moderna che ospita altri giovani artisti avanguardisti, alla storia d'amore con la musa Stella, all'amicizia con Enrique Lihn e al successivo litigio con quest'ultimo, fino alla riconciliazione con se stesso e con il proprio mondo rinnegato, proprio grazie alla poesia.

La ricostruzione autobiografica è solo in piccola parte realistica, e in buona parte attinge all'universo immaginifico e psicologico dell'autore, universo popolato di nani, ballerine, clown, e caratterizzato da situazioni e simboli che amplificano a dismisura gli esiti di un percorso psicanalitico.

I due figli di Jodorowsky (che pure compare in prima persona in alcuni momenti del film), Brontis e Adan, interpretano il padre nella fase dell'adolescenza e della giovinezza, in un ideale passaggio di consegne generazionale.

Alla fine, nonostante la mia difficoltà a entrare in sintonia emotiva con le modalità espressive della cultura sudamericana, di cui senza dubbio Jodorowsky è espressione, il film mi affascina e mi conquista, anche grazie alla filosofia di fondo che lo anima e che è riassunta in una frase in cui mi riconosco molto: "La vita non ha nessun senso. Dunque vivila!".

Voto: 3/5

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