martedì 28 novembre 2017

The square

Dopo il notevole Forza maggiore, Ruben Östlund torna dietro la macchina da presa per portare ancora una volta allo scoperto il sommerso umano, questa volta non tanto sul piano personale e relazionale, quanto sul piano sociale.

Christian (Claes Bang) è il curatore di un importante museo di arte contemporanea di Stoccolma, impegnato nell'allestimento e nel lancio di una nuova installazione di un'artista argentina che si chiama appunto The square, un quadrato luminoso che si configura come "un santuario di fiducia e altruismo" all'interno del quale abbiamo tutti gli stessi diritti e doveri. Una mattina Christian - coinvolto nella situazione di pericolo di una donna - viene in realtà derubato di telefono e portafogli, e accetta il suggerimento del suo collega di provare a ottenere indietro il maltolto con la minaccia.

Questo lo scheletro narrativo del film di Östlund, ma in realtà tutto intorno alla quotidianità di Christian e del museo ruotano molte altre persone e situazioni, che a tratti si trasformano quasi in veri e propri sketch, una sorta di siparietti, al punto da produrre in alcuni casi un effetto di giustapposizione e di cesura narrativa.

La sensazione che Östlund metta un po' troppa carne al fuoco - tutti temi, tra l'altro, molto importanti - è forte; non v'è dubbio però sul fatto che al cuore di questi diversi e numerosi filoni narrativi ci sia una critica feroce, anche se temperata da un registro che spesso si fa ironico fino al sarcastico, a una specifica componente della società: quella progressista, ecologista, politicamente corretta, di elevato profilo intellettuale, benestante, interprete dei valori dell'accoglienza e della tolleranza. Di questa parte sociale il film porta alla luce le profonde contraddizioni e fa cadere la facciata inappuntabile per rivelare la verità delle cose, ossia il fatto che tutti questi valori di cui essa si fa interprete sono validi solo fino a quando gli equilibri della società nel complesso non cambiano e tutto rimane al proprio posto, finché tali valori non vengono effettivamente messi alla prova della vita e dell'esperienza. In quel momento diventano invece palesi l'egoismo, il basso istinto, l'autoassoluzione, i mezzucci, gli escamotage relazionali che rendono queste persone uguali a tutte le altre, anzi forse peggio perché si camuffano dietro questa facciata.

La morale del film sembrerebbe essere che siamo tutti uguali finché siamo nel quadrato, ma solo finché in quel quadrato ci siamo solo noi e quelli come noi e nessuno ne invade gli spazi. La scena della cena di gala è la perfetta sintesi di questo concetto: l'uomo gorilla che gira per i tavoli va bene finché è uno spettacolo, una performance artistica, e dunque può essere mantenuto sotto controllo e si può decidere quando farlo smettere, ma diventa ingestibile e innesca tutti i meccanismi tipici studiati dalla teoria dei giochi quando la performance si trasforma in realtà e va fuori controllo.

Poi dentro il film c'è anche il sarcasmo verso certe derive del marketing e della società dell'informazione di cui tutti siamo fautori e vittime: la scena della conferenza stampa in cui Christian annuncia le sue dimissioni e che si trasforma - non è chiaro quanto volutamente - in un'immensa operazione promozionale per la nuova mostra è strepitosa.

Quello di Östlund non è un giudizio verso questa componente sociale espresso da una posizione di superiorità, è il riconoscimento di una complessità, la presa di coscienza della fragilità delle nostre convinzioni, il difficile rapporto tra responsabilità individuale e collettiva. Il grido di aiuto che più volte durante il film viene espresso da persone diverse e in condizioni diverse ci chiama in causa e ci interroga su come ognuno di noi reagirebbe a una certa situazione. In questo film non ci sono buoni né cattivi, non c'è una soluzione a portata di mano, ma la manifestazione esplosiva delle contraddizioni della nostra società occidentale.

Voto: 4/5

6 commenti:

  1. sicuramente è un film di impatto importante, ne ho sentito parlare in più blog, ma io non sono fan del genere quindi credo mi darò ad altre visioni

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    1. Capisco benissimo! E credo che ognuno di noi abbia il sacrosanto diritto di avere i propri gusti e di poter dire "questo mi piace e questo no" :-)

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  2. La tua recensione ha il pregio di analizzare e "riassumere" quello che la eccessiva lunghezza mi ha impedito di mettere a fuoco perfettamente. Un film senz'altro importante, ma talmente affastellato di elementi che per me il significato non è stato all'altezza delle immagini, tanto che il "pistolotto" morale pronunciato dal protagonista al telefono mi ha disturbato non poco. Detto questo, contenta di averlo visto e convinta che non lo dimenticherò facilmente: mi sembra già un risultato non da poco, no?

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    1. Grazie, Gioia! Riguardo al pistolotto lì per lì anch'io ero rimasta un po' perplessa. L'ho però poi rivalutato quando ho letto una recensione che mi ha dato una chiave di lettura secondo me interessante. La telefonata di scuse si trasforma piano piano in una specie di manifestazione di impotenza e poi di autogiustificazione che è individuale e poi anche collettiva. Cioè il problema specifico (il comportamento verso questo bambino) chiama in causa quel singolo individuo, ma - come lui anche giustamente dice - non è il singolo che può risolvere un problema sistemico, più grande di noi. Ma in fondo questo finisce per essere uno straordinario alibi per tutti, e anche un cul de sac da cui non si sa come uscire...

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  3. Complimenti, la tua è la recensione più bella tra tutte quelle che ho letto di questo film! Sei riuscita a sviscerare il senso di molte situazioni dove io proprio non arrivavo (ad esempio la scena dell' uomo-scimmia). Ti dirò, io questo film l'ho sofferto parecchio, anche a causa della mia scarsa predisposizione al grottesco... mi è sembrato una specie di "ampliamento" del precedente film del regista (Forza Maggiore): il canovaccio è lo stesso, ovvero un uomo comune (e una comunità) che vengono destabilizzati da un piccolo, apparentemente insignificante incidente. Solo che in The Square ci sono situazioni e satira a mio avviso molto pesanti, che rendono pesante anche la pellicola (146 minuti mi sono parsi eccessivi). Però adesso, alla luce della tua recensione, molte cose mi sono più chiare, e questo è il bello della critica :) grazie!

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    1. Grazie Kris! Sono d'accordo con te sul fatto che il difetto principale del film è la lunghezza, che tra l'altro porta con sé una certa dispersività... Anche io a un certo punto l'ho sofferto e non riuscivo a capire dove andava a parare. Bello anche il paragone che fai con Forza maggiore. Non ci avevo pensato e lo condivido completamente. Grazie anche a te, dunque.

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