lunedì 18 gennaio 2016

Dies irae / Giuseppe Genna

Dies irae / Giuseppe Genna. Milano: Mondadori, 2014.

“La sua vita è soffocante e priva d’aria” (p. 764). Così dice la psichiatra Manuela a Giuseppe Genna nelle ultimissime pagine del libro. Ebbene, questa stessa frase a mio modo di vedere può essere utilizzata per descrivere le quasi 800 pagine di questo libro.

La sensazione claustrofobica e senza via d’uscita che esso trasmette è infatti direttamente proporzionale all’animo livido e senza speranza del protagonista e narratore, ossia lo stesso Genna.

D’altra parte, il leitmotiv del libro è una vicenda fortemente claustrofobica, che ha segnato la memoria e gli incubi di tutti quelli della mia generazione (e non solo), che erano bambini quando assistettero in diretta televisiva all’agonia e alla morte di Alfredino Rampi, caduto nel pozzo artesiano nella campagna di Vermicino agli inizi degli anni Ottanta.

Il bambino nel pozzo non solo diventa metafora di tutte le cadute, di tutti gli incubi, di tutte le situazioni di incastro psicologico che caratterizzano i protagonisti di questo libro, ma è anche il punto di partenza di un racconto politico e sociale della storia italiana degli anni Ottanta e Novanta, quella che – secondo Genna – ha gettato le fondamenta di ciò che siamo diventati.

Difficile definire questo libro, che è un romanzo, ma ha anche tanta verità storica all’interno, che è un’autobiografia, ma anche no, e che dentro ha anche un po’ di thriller, di fantascienza e di horror; che parla di persone realmente vissute, ma collega anche le vite individuali alla storia di un Paese in un modo in cui solo un romanzo può fare.

Dies irae non è una lettura facile, né pacifica, né pacificante.

La scrittura di Genna è profondamente disturbante, a tratti allucinata, attraversata da un’angoscia che non lascia spiragli al lettore, costringendolo a seguirlo negli abissi del suo dolore, della disperazione sua e di quella degli altri protagonisti del romanzo (Paola e Monica in particolare).

Una specie di ininterrotto flusso di coscienza, in cui si toccano abissi di dolore e di disperazione da cui il lettore non riesce in alcun modo a scappare. Eppure resta attaccato alle pagine di questo libro facendosi condurre dallo scrittore in questo viaggio allucinato ma a tratti illuminante, questo viaggio folle e lucidissimo al contempo, capace di togliere il velo da vicende, sensazioni, percezioni che hanno fatto parte delle nostre vite.

Insomma, il punto è: se volete affrontare il libro di Genna, armatevi di coraggio, corazzatevi ben bene, chiamate a raccolta tutta l’energia positiva che possedete e solo dopo buttatevi a capofitto in queste pagine. Ne sarete in qualche modo stregati.

Ma se lascerete che l’angoscia si faccia strada dentro di voi ne uscirete devastati e senza speranza. Da ogni singola pagina. Da ogni singola parola.

Non dite che non vi avevo avvertiti.

Voto: 3/5

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