domenica 18 gennaio 2015

Su e giù per il Monte Amiata e la Val d’Orcia

Eccoci pronte per la nostra gita post-natalizia, quest’anno breve e particolarmente alternativa perché viaggiamo con la Panda del car sharing di Roma. Partiamo mercoledì 31 dicembre, quando in tutta Italia c’è l’allerta meteo e per fortuna siamo state previdenti e ci siamo fatte fornire di catene per la macchina che troviamo regolarmente a bordo.

Per evitare di incappare in zone con troppa neve, facciamo l’autostrada fino a Orte e poi svoltiamo verso Viterbo. Sulla strada statale poco prima di Viterbo – dopo un improvviso cambio di cielo – arriva la neve che ha già coperto il manto stradale, ma grazie al camion che ci precede riusciamo a superare tranquillamente Viterbo e ad arrivare sul lago di Bolsena, dove ecco di nuovo il sole. Qui ci fermiamo per fare uno spuntino e un giro nel centro storico di Bolsena, fino al castello con la sua splendida vista sul lago.

Dopo un altro po’ di strada, eccoci al Podere dei Venti, il nostro agriturismo, che si trova qualche chilometro prima di Piancastagnaio per chi arriva da sud. Il posto è molto carino e capiamo presto perché si chiama così: è battuto dal vento in modo particolare, e oggi il vento è talmente gelido che non si riesce neppure a stare fuori di casa.

Per la sera non abbiamo organizzato niente; così la nostra padrona di casa si prende l’incarico di fare qualche telefonata ai ristoranti di Piancastagnaio e di Abbadia San Salvatore (i due paesi più vicini) per capire se c’è un posto dove possiamo andare ad un prezzo accettabile. L’unica opzione possibile è ad Abbadia alla Bocca di Bacco.

Abbiamo però tutto il pomeriggio davanti a noi, così cominciamo a esplorare i dintorni. Eccoci a Castiglione d’Orcia, con il suo centro storico dominato dalla rocca, e poi a Bagno Vignoni, il paese di trenta anime con la vasca termale al centro. Qui ci fermiamo per un buonissimo spuntino (vino e piatto di sottoli) alla Bottega di Cacio, dove purtroppo ci fanno il conto sbagliato e non ce ne accorgiamo (la cosa ci mette di cattivo umore). A quel punto ci muoviamo verso Abbadia, facciamo una passeggiata in centro, visitiamo il monastero e camminiamo nel gelo in attesa dell’orario del nostro cenone.

L’esperienza alla Bocca di Bacco è di quelle che resteranno negli annali e che potremo raccontare ai nipoti e ai pronipoti, e soprattutto ci fa ricordare perché non avevamo mai fatto un cenone di Capodanno al ristorante. Innanzitutto il ristorante, molto semplice e associato a un albergo, è gestito da gente dell’Est. E fin qui niente da ridire. I commensali sono per un terzo gente dell’Est (con facce tristissime!), per un terzo vecchietti (alcuni dei quali vanno via prima di mezzanotte), un terzo (un’intera tavolata) laziali o romani burini che fanno una caciara assurda.

Nelle due sale due schermi sintonizzati sul programma di fine anno animato da Gigi D’Alessio. La cena mi ricorda certi matrimoni pugliesi degli anni Ottanta (mancavano solo le pennette alla vodka!). Il nostro tavolo sta esattamente dove arriva la bufera di vento e freddo ogni volta che si apre la porta. Ah, dimenticavo. Prima di cominciare, nel tentativo di stare più vicine al termosifone sposto il tavolo e casca la bottiglietta dell’olio frantumandosi in mille pezzi. Forse lì dovevamo capire tutto. A me allo scoccare della mezzanotte mi sta cadendo la lacrimuccia della tristezza, perché non sono riuscita a prendere la cosa a ridere, anche se a distanza di 12 ore ne rideremo come pazze. A quel punto scappiamo verso il nostro agriturismo.

Il giorno dopo decidiamo di fare una piccola passeggiata nel bosco (in realtà C. vorrebbe fare una lunga passeggiata, ma io faccio resistenza!) e così andiamo a Vivo d’Orcia, dove prima di prendere il sentiero verso il borgo antico e l’eremo incrociamo una trattoria che ci conquista a prima vista e che prenotiamo per la sera, la Taverna del Pian delle Mura.

Il borgo medievale è bellissimo, illuminato da una luce meravigliosa; da qui cominciamo a salire nei boschi, mentre le nubi si addensano sul Monte Amiata, facendoci temere l’acquazzone. Arrivate alla strada asfaltata ci diciamo soddisfatte della passeggiata e torniamo alla macchina. La nostra gita prosegue verso Pienza dove arriviamo tardissimo, perché la strada attraversa il versante più scenografico della Val d’Orcia, quello delle colline con le curve morbide, dei casali sui poggi preceduti dai sentieri bianchi affiancati da cipressi, dei colori intensi del cielo, dell’erba e della terra. La giornata tra l’altro è spettacolare; fa un freddo cane con un vento fortissimo che fa viaggiare le nubi velocissime e cambia continuamente la luce. Difficile pensare di aver mai visto qualcosa di esteticamente più bello nella sua perfezione.

A Pienza arriviamo quasi all’ora del tramonto. Facciamo un giro per il bellissimo centro storico e ci affacciamo sulla valle dalle mura della città. Dopo una sosta cioccolata calda per riscaldarci e una spesa di prodotti tipici al locale Consorzio agrario andiamo verso San Quirico d’Orcia, mentre il cielo diventa scuro e all’orizzonte si spegne il rosso fuoco del sole che tramonta.

San Quirico è un gioiellino e nonostante il sole sia già tramontato ci godiamo la passeggiata, anche perché – a differenza che a Pienza – le strade sono quasi deserte. Visitiamo palazzo Chigi e alcune delle chiese del paese, e poi riprendiamo la macchina per tornare a Vivo d’Orcia.

La cena ci riconcilia definitivamente con la gastronomia del territorio e ci fa dimenticare la serata precedente. Mangiamo divinamente: pici al sugo bugiardo (un ragu bianco), gnocchetti con tartufo bianco, faraona al forno con melagrana, cosciotto di cinta con uva e ginepro, dolci natalizi, caffè in forchetta con zabaione, il tutto innaffiato di Rosso di Montalcino, giulebbe, liquore di verbena, grappa e amaro. I tre gestori della trattoria – che sono tre colleghi di lavoro – ci raccontano che hanno avviato quest’attività circa 9 anni fa mettendo in comune la loro passione per la cucina e la loro terra. Complimenti davvero! E chi passasse di qui non si faccia sfuggire la Trattoria del Pian delle Mura, Osteria d’Italia slow food che utilizza prodotti in buona parte biologici.

Il giorno dopo, una volta preparate e caricate le valigie, ci mettiamo di nuovo in marcia per approfittare di quest’ultima giornata. La nostra prima tappa è Radicofani con la sua torre che svetta altissima sulla collina e domina l’intera Val d’Orcia, passaggio obbligato sull’antica via Francigena.

Arriviamo alla fortezza per il sentiero delle scalette, che - come dice il nome - è una sequenza infinita di scale fatte di pietre sul fianco della collina che salgono fino alla vetta. Una volta in cima alla torre la vista è davvero spettacolare. Il cielo è azzurro e l’aria è tersa, cosicché vediamo non solo perfettamente il Monte Amiata e il Monte Cetona, ma anche gli Appenini innevati, il lago di Bolsena e il mare che riflette la luce del sole.

Tornate giù, riprendiamo la strada e ci dirigiamo verso Contignano lungo la via che segue il crinale e che apre bellissime vedute sul verde della valle. Contignano è carina ma non c’è neppure un bar aperto e noi abbiamo fame. Così ci dirigiamo di gran carriera verso Montalcino, riattraversando le colline, i casali con i filari di cipressi, le distese di verde, di giallo e di marrone. A Montalcino mangiamo due buone zuppe e ottimi salumi e formaggi locali da Bacchus, un’enoteca in centro. Non mancano ovviamente un bicchiere di Brunello di Montalcino del 2009 e un Rosso di Montalcino del 2012. A questo punto possiamo affrontare il giro del centro storico con la luce bellissima del tramonto. Montalcino è la più senese delle cittadine da noi visitate; il suo centro storico è piccolo e in ogni strada il vino la fa da padrone. Le campagne circostanti con la luce rosata del tramonto sono incredibili, quasi finte.

Purtroppo però la nostra carrozza (la Pandina del car sharing) sta per scadere e così prima che si trasformi in zucca dobbiamo rientrare a Roma! La Val d’Orcia però ci rimarrà nel cuore a lungo.

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