giovedì 11 dicembre 2014

Storia della bambina perduta / Elena Ferrante

Storia della bambina perduta / Elena Ferrante. Roma: Edizioni e/o, 2014.

Ed eccoci qua, al momento tanto atteso e tanto temuto.

La fine della saga di Lena e Lila. Il quarto e ultimo capitolo della storia della loro vita e della loro amicizia, il periodo che va dai quarant'anni fino alla vecchiaia.

Non so dire che sentimenti provo. Direi di svuotamento, come se improvvisamente tutto il sangue fosse fluito via dalle vene producendo una forma di atarassia, di assenza di emozioni.

Forse è la sensazione che si prova quando persone che hanno avuto una parte importante nella nostra vita vanno via. Segue un senso di impotenza, di vuoto, che sarà successivamente riempito da una valanga di ricordi.

Questo quarto capitolo del lungo racconto di Elena Greco è denso di avvenimenti e in qualche modo più compresso degli altri, foss'anche soltanto perché ci sono voluti tre volumi per raccontare i primi 40 anni della vita di Elena e Lila mentre in quest'unico libro si racconta della loro vita tra gli anni Ottanta e gli anni Duemila.

Molte cose accadono in questi anni e riassumerle non solo sarebbe difficile ma toglierebbe parte del piacere alla lettura.

Su due cose mi preme soffermarmi alla fine di questa lettura così coinvolgente: innanzitutto il rapporto tra la storia personale delle due donne e dell'universo umano che le circonda e la storia più ampia della loro città e soprattutto dell'Italia; in secondo luogo, la sensazione di familiarità e quasi di ripetitività che nel prosieguo della saga sembra caratterizzare l'andamento della storia.

Sul primo aspetto, mi pare estremamente interessante osservare che - rispetto ai decenni precedenti in cui la storia del contesto aveva un peso significativo e si incrociava fortemente con le vite individuali, coinvolgendo più o meno diffusamente tutti i protagonisti del mondo di Lila ed Elena - in quest'ultimo capitolo (a parte alcuni avvenimenti particolarmente significativi, come ad esempio il terremoto in Irpinia del 1980 e le conseguenze politiche e sociali determinate da Tangentopoli) la storia politica, economica e sociale scorre sullo sfondo.

Questa diversa proporzione tra il peso della vita privata e quello del contesto sociale credo rifletta perfettamente un cambiamento effettivo intervenuto nella società e nella vita delle persone nel passaggio dagli anni Settanta agli anni Ottanta. E io che sono sostanzialmente figlia degli anni Ottanta l'ho vissuto sulla mia pelle. È anche vero, d’altronde, come dice V., che il fallimento di quell’ideale rivoluzionario, il minor impegno politico si salda al passaggio verso la maturità, che fa scivolare i protagonisti verso una sorta di ripiegamento interiore.

Riguardo al secondo aspetto, arrivati a questo quarto capitolo, riconosciamo tutte le dinamiche del rapporto tra Elena e Lila, nonché i meccanismi psicologici con cui Elena gestisce le sue insicurezze, in un andamento ciclico che può apparire a tratti scontato. In realtà, ciò che apparentemente è una inutile ripetizione ci racconta le nostre stesse debolezze e il percorso che ciascuno di noi compie nel tentativo di affermare la propria identità tra qualche passo avanti e numerosi passi indietro.

La vita è così, ciclica, ricorsiva, e proprio quando pensiamo di aver superato il nostro vecchio io eccoci lì che siamo di nuovo al punto di partenza.

E perciò, ancora di più di quanto non fosse già avvenuto per i volumi precedenti, la mia sensazione di comprendere perfettamente gli stati d'animo di Elena e la mia identificazione con il suo personaggio sono forti. Comprendo perfettamente il rapporto ambivalente con le sue origini, il desiderio di scappare e poi quello di tornare, comprendo la sua dipendenza (in positivo e in negativo) da Lila, suo termine di rispecchiamento e di paragone ideale, e anche in quali casi l'elastico emotivo a volte l'avvicina fortemente all'amica e altre volte gliela fa rifiutare; comprendo il senso di precarietà degli affetti a cui né gli uomini che ha amato, né le figlie che ha cresciuto, né l'amica di una vita possono completamente rimediare; comprendo la sensazione di pienezza e di forza che a volta la vita ti dà e che altre volte e altrettanto imprevedibilmente ti toglie, rendendoti insicuro e in balia degli eventi; comprendo anche la percezione di inevitabilità che il passare della vita porta con sé, mentre il mondo intorno a te - così come ti si era andato configurando fin dall'infanzia - si va sfaldando man mano che il tempo passa, perdendo sempre più i contorni netti che in tutti i modi abbiamo cercato di conferirgli. Quello "smarginarsi" che nella vita di Lila è stata invece caratteristica intrinseca fin dall'infanzia.

Di Lila (e di Napoli) meglio di me parla V. quando dice che la deuteragonista di questo straordinario romanzo corale resta per tutta la quadrilogia un fortissimo alter ego, l’altra voce, l’altra possibilità, l’intelligenza mai messa a frutto e anzi "sperperata come una gran signora, per la quale tutte le ricchezze del mondo sono solo un segno di volgarità" e perché in fondo "al mondo non c'era alcunché da vincere, che la sua vita era piena di avventure diverse e scriteriate proprio quanto la mia, e che il tempo semplicemente scivolava via senza alcun senso, ed era bello solo vedersi ogni tanto per sentire il suono folle del cervello dell'una echeggiare dentro il suono folle del cervello dell'altra". Lila che mostra il percorso e vede le cose prima che accadano. E non è casuale il legame, fortissimo, di Lila con la sua città, città dove "tutto si costruisce tutto si scassa", città dove le cose che accadono e le contraddizioni si vedono prima che altrove, città che, come Lila, "con naturalezza non si piega a nessun addestramento, a nessun uso e a nessun fine".

Elena e Lila mi mancheranno, ma ricorderò che mi hanno mostrato che la vita è un'esperienza incredibile, e non per l'eccezionalità delle cose che facciamo, ma per la complessità intrinseca che il flusso degli eventi porta con sé e a cui è umano talvolta abbandonarsi e altre volte opporsi.

Quella di Elena Ferrante (chiunque sia) non sarà alta letteratura, quella che piace ai grandi intellettuali; certamente però è letteratura capace di toccare con semplicità la verità dei sentimenti e delle cose con tale forza da spalancare spazi di emotività e di comprensione al contempo familiari e inediti.

Voto: 3,5/5

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