lunedì 25 novembre 2013

Local natives (+ Cloud Control), Blackout Roma, 11 novembre 2013


È lunedì. E fa pure freddo. Il Blackout, recente ma importante acquisizione nel panorama musicale romano, sta in là sulla Casilina, non certo vicino a casa mia. Sono quasi tentata di saltare il concerto.

Ma alla fine mi armo di buona volontà ed eccomi sul mio scooter, con fotocamera al seguito, alla volta del Blackout. Comincia quasi a piovere e c’è già qualcuno in attesa fuori.

Ci fanno entrare e con mio sommo rammarico mi accorgo che la prima fila è già stata occupata, in particolare da un folto gruppo di ragazzine americane urlanti, che scoprirò dopo essere di Los Angeles come la band che suona oggi. Cerco dunque di incunearmi con la mia macchina fotografica, ma non è facile; solo a fine serata riuscirò a conquistare una posizione decente per fare le foto!

Intanto sul palco arrivano gli australiani Cloud Control, che avevo avuto modo di ascoltare un po’ all’uscita del loro ultimo disco. Sono buffi questi ragazzi australiani e anche abbastanza eterogenei: il cantante e chitarrista (Alister Wright) con la faccia tenera e i pantaloni attillati, il cantante e bassista (Jeremy Kelshaw) che solo dopo un po’ toglie un brutto cappellino da baseball, il batterista (Ulrich Lenffer) con una capigliatura che sembra il cugino It ma che subito dimostra doti notevoli, la tastierista elegantissima e molto sensuale (Heidi Lenffer). Suonano per una mezz’oretta e il pubblico apprezza parecchio il loro sound e le loro canzoni, provenienti in buona parte dal loro ultimo album.

Ma eccoci tutti pronti per i Local Natives… In realtà, ci vorrà un bel po’ perché la preparazione del palco è piuttosto lunga, ma quando arrivano si capisce subito che nessuno potrà rimanere veramente fermo. Il tasso di testosterone nell’aria aumenta significativamente e i Local Natives dimostrano di essere straordinari animali da palcoscenico in un crescendo, inframmezzato da qualche pezzo più lento e più romantico. Le ragazze americane cantano a squarciagola e quando non cantano lanciano urletti non proprio piacevoli per le orecchie.

Le atmosfere sul palco si fanno sempre più misteriose (sarà anche colpa dell’eccesso di ghiaccio secco) e surriscaldate. Con i brani più famosi, come Airplanes si raggiunge l’apice che sembra far esplodere il Blackout in un boato.

Dopo circa un’ora e mezza di buona musica i Local Natives si concedono per un bis e poi visibilmente soddisfatti (loro e anche il pubblico) si torna tutti a casa.

Tutto sommato ho fatto bene a vincere la mia pigrizia. Certo di solito amo la musica più malinconica e venata di tristezza, ma ogni tanto una bella botta di adrenalina ci sta bene (anche se poi mi ci è voluta un’intera settimana per riprendermi! Non c’ho più l’età!).

Voto: 3,5/5

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