mercoledì 22 maggio 2013

Nella casa


A me Ozon piace. C’è poco da fare. Persino i suoi film meno riusciti o che hanno avuto accoglienze meno calorose, come ad esempio Cinqueperdue oppure Angel, mi sono piaciuti, o meglio mi hanno fatto apprezzare l’eclettismo di questo regista che sa continuamente reinventarsi.

Ozon è uno di quelli, insieme ad esempio a Baz Luhrmann, che può pure prendere delle cantonate, ma non passa inosservato e che fa discutere. Personalmente – e credo di averlo già detto – li considero tra i migliori registi della loro generazione.

Fatta questa sviolinata, devo dire che Nella casa non è forse il film migliore di Ozon, e però è un film godibile e che si fa apprezzare per la sua costruzione e l’originalità del suo intento.

Il film comincia in modo molto realistico. Il professor Germain (Fabrice Luchini) insegna al liceo Gustave Flaubert ed è mediamente piuttosto deluso e scontento dei risultati dei suoi allievi. Un giorno, dopo aver assegnato un tema in cui i ragazzi sono invitati a descrivere il loro fine settimana, resta colpito dal lavoro di Claude Garcia (Ernst Umhauer), che racconta di come sia diventato amico di Rapha per intrufolarsi nella sua casa e poter osservare da vicino la sua famiglia.

Il professore incoraggia l’allievo a coltivare questo suo talento e a proseguire la scrittura che ha cominciato. A dire la verità, è lo stesso Claude a suscitare curiosità nel professore scrivendo in fondo al suo tema la parola “continua” e dunque suggerendo il prosieguo della storia.

La vicenda sembra virare rapidamente verso il noir e quasi verso il thriller man mano che i racconti di Claude sulla famiglia di Rapha, in particolare su sua madre (Emmanuelle Seigner), proseguono, ma ben presto il piano del racconto e quello della realtà che, fino a un certo punto sono rimasti chiaramente distinti, tendono a sovrapporsi e a confondersi spiazzando lo spettatore e allo stesso tempo coinvolgendolo in un gioco di riscrittura del reale sempre più insistito, in cui gli stili della narrazione cambiano in continuazione disegnando praticamente tutta la gamma possibile. A un certo punto la manipolazione della realtà diventa palese, al punto tale che la sua stessa rappresentazione visiva vira verso il surreale.

Le parole scritte e le immagini si rincorrono in una dinamica sempre più inestricabile in cui lo spettatore è continuamente sfidato a discernere il vero dal verosimile. Alla fine non sappiamo più se quello che stiamo vedendo è realmente quanto sta accadendo al professore ovvero è il risultato dei numerosi tentativi di Claude di cercare una conclusione degna alla sua storia.

Di fronte alle finestre illuminate di un grande palazzo professore e allievo guardano le vite degli altri e ciascuno dà la propria lettura dei gesti e delle espressioni delle persone che vede, raccontando la propria storia in una infinita riscrittura del reale. In questo gioco di specchi, narratore, spettatore, lettore, protagonisti si scambiano continuamente i ruoli e confondono le loro identità in una costante ricerca di senso che è l’unico vero motore di una perdurante curiosità del mondo e degli altri.

Ozon racchiude in un solo film molti film e molti generi letterari e cinematografici, dimostrandoci che la ricchezza del reale sta solo negli occhi di chi guarda.

Voto: 3,5/5

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