venerdì 29 ottobre 2010

Bruxelles, ma belle! (Prima parte - le persone)

È tempo di bilanci... Di ritorni, di partenze, di arrivi, di separazioni, di ricongiungimenti, di sentimenti che si aggrovigliano lì da qualche parte in fondo all'anima, di paure che scavano profondità inaccessibili, di già vissuto e di completamente nuovo, di energie positive e di scoraggiamento, di stanchezza e di forza.

Come sempre quando la mia strada si sofferma per un tempo più o meno lungo in un luogo, quello che mi porto via sono innanzitutto le emozioni che le persone mi hanno regalato e quelle sensazioni che per sempre rimarranno legate a quel luogo. A queste persone dedico la prima parte del post bruxellese.
Così, pur nella certezza che la mia memoria le conserverà come tutte le cose più preziose, sento il bisogno di vedere queste sensazioni tradotte in scrittura. Per condividere quello che è stato solo mio, ma anche per lasciare una piccola eredità di esperienza della città a vantaggio di coloro che restano e di quelli che vi arriveranno.

Innanzitutto grazie a chi ha condiviso con me questo pezzetto di vita.
Non dimenticherò le cene per sperimentare posti nuovi, le ricerche dei concerti su Agenda.be, le lunghe chiacchierate, il senso di intimità arrivato così facilmente, l'abbraccio commosso di martedì pomeriggio, la certezza di aver aggiunto un'altra tesserina al puzzle della propria vita.

Non dimenticherò i caffè presi insieme a casa il sabato mattina, la serata al "barco" a ballare la salsa, le confidenze e i racconti, i trasporti di tutto quello che non stava in valigia, la telefonata di saluto alle cinque del mattino.

Non dimenticherò le colazioni della domenica al Sablon, le passeggiate in Rue du Midi esplorando i numerosi second hand bookstores, i giri al mercato delle pulci di Les Marolles, i pranzi con gli altri colleghi durante i quali parliamo solo tra di noi, gli umori altalenanti, quell' "I'll miss you" sulla porta dell'ascensore in chiusura.

Non dimenticherò la sorpresa e la bellezza di scoprire che, nonostante le differenze linguistiche e culturali, i momenti difficili, la brevità e finitezza del tempo a disposizione, l'amicizia e la sintonia arrivano inaspettate e sempre intense.

Parte del merito è di questa città strana, in apparenza ostile e non certo attraente, ma ricca di quella ricchezza speciale che solo le cose piccole e invisibili possono dare. Ma... di questo vi parlerò nel prossimo post, offrendovi la mia personale guida alla città, alle cose che mi mancheranno e che non potete assolutamente perdere.

lunedì 18 ottobre 2010

Memorie di Adriano / Marguerite Yourcenar

Memorie di Adriano. Seguite da Taccuini di appunti / Marguerite Yourcenar. Torino: Einaudi, 2005.

Non posso negare di provare un certo imbarazzo nell'accingermi a scrivere una nota su Memorie di Adriano e non me ne vogliate se non ne sarò all'altezza. Durante la lettura - e tanto più al termine di essa - non ho potuto fare a meno di associare a questo romanzo l'aggettivo "imponente".
Imponente è il personaggio storico, l'imperatore Adriano; imponente la sua rappresentazione umana nella ricostruzione letteraria; imponente il periodo storico e la civiltà protagonisti del romanzo; imponente soprattutto la scrittura della Yourcenar che sembra calarsi perfettamente, da un punto di vista stilistico, nell'epoca e nel punto di vista dell'imperatore letterato.

L'idea di strutturare il romanzo in forma di lunga lettera indirizzata a Marc'Aurelio (il giovane che Adriano farà adottare da Antonino, suo successore, per farne il futuro erede dell'impero) è assolutamente perfetta, tanto più che questa lettera si configura come una sorta di bilancio dell'esistenza e di memoria di vita da lasciare a colui che Adriano considera il reale continuatore della sua opera.

Non proporrò citazioni di questo romanzo per due motivi fondamentali: innanzitutto, ce ne sarebbero troppe e probabilmente molte di esse risulterebbero abusate (visto che si tratta di uno dei libri tra i più citati); in secondo luogo, in molti casi non sono le singole frasi ad essere realmente significative, quanto l'insieme della riflessione, all'interno della quale le frasi si colorano del valore aggiunto del contesto.

Mi riferisco, in particolare, alle riflessioni sulle leggi e sulla loro necessità ma anche tendenziale inadeguatezza rispetto all'evolversi imprevedibile della società, a quelle sulle religioni, le loro radici profondamente umane e la loro incidenza sugli equilibri sociali, a quelle sulle guerre come necessità umana di rottura degli equilibri, a quelle sulle lingue e sulla loro diversa capacità di raccontare aspetti diversi del reale e dell'umano, a quelle sul dolore, la morte, la malattia, l'amore, la bellezza, l'orgoglio, la rabbia e la loro incidenza sul senso dell'esistenza umana.

Durante la lettura non si può fare a meno di credere all'illusione che tutto quanto è scritto in quelle pagine sia realmente passato per la testa dell'imperatore. E così, di volta in volta, ci si sente sudditi di quest'uomo che suscita, al tempo stesso, ammirazione, compassione e deprecazione di un orgoglio, un'ambizione e un egocentrismo smisurati (ma in fondo commisurati alla sua statura politica e umana), ma ci si sente anche imperatori, nel partecipare dei successi, dei dubbi, delle paure e degli atti di lungimiranza e coraggio dell'uomo e dell'imperatore.

Io sono stata letteralmente catturata nel mondo di Adriano e non ho potuto fare a meno di versare qualche lacrimuccia dopo aver letto le ultime righe, sia per la tristezza di veder morire un uomo di tale complessa bellezza, sia per il dispiacere di aver terminato la lettura di un libro che si vorrebbe portare con sé più a lungo.

Curiosando su Internet, vedo che di fronte a Memorie di Adriano il mondo dei lettori è letteralmente spaccato a metà tra coloro che lo hanno amato alla follia e coloro che lo hanno abbandonato anzitempo o ne hanno detestato lo stile o il protagonista. Inutile dire che io appartengo al primo di questi due gruppi. Inutile dire che questa spaccatura, a mio parere, è propria dei capolavori, che non possono lasciare indifferenti e impongono una presa di posizione, uno schieramento, una vera e propria scelta di campo, di fronte alla loro ingombrante presenza.

È per questo che io sto con Adriano ;-), con la sua forza e la sua fragilità (che sono quelle di ogni essere umano, ma al contempo uniche e per questo affascinanti), con il suo eloquio antico, ma anche profondamente intriso di modernità.

Leggo nei Taccuini di appunti che questo è stato per la Yourcenar il romanzo di una vita, forse il romanzo della vita. A volte penso che certi scrittori - e più in generale certi esseri umani - nascano per compiere una missione, per lasciare un'eredità, per adempiere un destino.
Ebbene, secondo me, Marguerite Yourcenar è nata per regalarci le Memorie di Adriano.

Voto: 5/5

P.S. Qui a Bruxelles c'è un parco intitolato a Marguerite Yourcenar, nata in questa città... Non potevo scegliere momento migliore per leggere il suo capolavoro.

mercoledì 13 ottobre 2010

Una Londra un po' insolita

Arrivo da un'intensa due giorni londinese, con base nell'East End. La scusa (ma neanche tanto!) era quella di andare a verificare - a distanza di 4-5 anni di distanza dalla mia prima visita - lo stato di salute delle biblioteche pubbliche che sono state realizzate in questa zona della città e che si chiamano Idea Stores. Ma di questo parlerò in altra sede...

L'East End è probabilmente una delle zone meno turistiche di Londra, area da sempre ad alto tasso di immigrazione (prima gli Irlandesi, poi gli Ebrei, oggi soprattutto Bengalesi), zona prevalentemente popolare e operaia, con una densità urbana decisamente più elevata rispetto agli standard della città.

Oggi, l'East End è una chiara esemplificazione dei processi di trasformazione e di rinnovamento continuo che le città metropolitane stanno vivendo, per effetto principalmente dei movimenti dei gruppi sociali. Qui, infatti, da un po' di anni a questa parte hanno cominciato a spostarsi molti giovani in cerca di un'area della città meno cara e di un'atmosfera più veracemente londinese, nonché affascinati dal clima multietnico e dalla voglia di riscatto che sembra attraversare questi quartieri.

Sono nati così piccoli negozietti alternativi, sale da te, rivenditori di prodotti biologici; i pub tradizionali sono stati rilevati da giovani pieni di idee, le strade si sono popolate anche di sera, lo squallore ha cominciato a trasformarsi in accogliente semplicità.
Tutt'intorno continuano a vivere e a prosperare le contraddizioni di questa città (che sono anche la sua ricchezza): case popolari insieme a bellissime case vittoriane e georgiane, sottopassi squallidi insieme a parchi verdissimi, atmosfera da casbah insieme a rarefatti conciliaboli di giovani su biciclette di design.

Il Broadway Market (al confine tra le zone di Hackney e Whitechapel) è la sintesi del rinnovamento di quest'area, perché in esso trovano posto i cibi e i dolci tradizionali fatti come una volta, le verdure biologiche, i cibi del mondo, i prodotti ecologici. Non più di una cinquantina di bancarelle che sembrano però essere state scelte con estrema cura e rispondere tutte alla stessa "filosofia".

Il rischio è che possa risultare difficile conservare quell'equilibrio prezioso che attualmente l'East End sembra vivere (gente giovane e carina, ma non troppo fighetta e trendy; negozi, caffè e pub certamente di gusto, ma non invadenti e dissonanti; prezzi in aumento ma ancora molto competitivi rispetto al resto della città) e che dunque l'East End diventi la nuova frontiera della Londra alla moda, snaturandone l'anima più vera, togliendo autenticità alle sue manifestazioni, introducendo artificiosità nelle dinamiche.
Ho purtroppo paura che tutto ciò accadrà, perché è nelle cose. Bene esserci stati prima.

Certo, però, non si può mica andare a Londra senza una puntatina nel centro e soprattutto senza andare a vedere un musical!
E quindi, alla modica cifra di quasi 100 euro (!), andiamo a vedere la versione londinese (dopo, per me, quella newyorkese) di Mamma mia! al Prince of Wales Theatre vicino a Leicester Square. Lo spettacolo è perfettamente in linea con le aspettative, ma certo - dopo aver visto la performance newyorkese - capisco che questi musical possono raggiungere livelli di standardizzazione veramente elevati.

Cosicché non è davvero più la bravura e la simpatia dell'attore, bensì la rigidità dei ruoli che impone esattamente certi tipi di gestualità e di espressioni. Insomma, mi diverto di meno della prima volta. In questo caso, il maggior divertimento diventa il pubblico, visto che come è accaduto a suo tempo per il Rocky Horror Picture Show, anche per Mamma mia! (a distanza di oltre 10 anni dalla sua prima programmazione) la gente comincia a partecipare, cantando ad alta voce e riproducendo le coreografie del palco. Forse sarebbe ora di organizzare delle performance che prevedano esplicitamente il diretto coinvolgimento del pubblico, per offrire a tutti coloro che ormai conoscono a memoria il musical la possibilità di divertirsi per davvero.

Dal mondo dei musical passiamo a un altro mondo tipicamente londinese, quello dei musei pubblici gratuiti (!). Attraversiamo il Tamigi per raggiungere la Southbank (altra zona in piena rinascita) e visitare la Tate Modern, edificio di archeologia industriale (con un'altissima ciminiera) ristrutturato per ospitare una importante collezione di arte contemporanea e mostre temporanee (in questo periodo, quella su Gauguin).

Ci sorprende vedere che i piani sono organizzati per temi (non per periodi, per tipologia di opere, per autori o per correnti), che ciascuna opera è brevemente ed efficacemente descritta, che di tanto in tanto vengono forniti brevi approfondimenti di contesto, gradevolissimi da leggere, che ad ogni piano ci sono aree per far giocare i bambini sul tema dell'arte, zone per riposare e consultare cataloghi a stampa delle opere degli autori in mostra, sediolini liberamente utilizzabili per rendere la visita più efficace e meno stancante.

La breve escursione londinese finisce in un pub dove il menu è equamente diviso tra piatti orientali e britannici e noi prendiamo un buonissimo fish and chips e un altrettanto ottimo riso e pollo al curry piccante, innaffiati entrambi dall'immancabile birra.

Che dire? A me pare che, nonostante tutto, la buona, vecchia, cara Inghilterra abbia ancora qualcosa da insegnarci in termini di civiltà.

Capisco che bisognerebbe viverci per giudicare appieno. Ma, che ne so, io di solito annuso l'aria, mi guardo intorno, verifico possibili sintonie. E in questo caso - sarà anche che c'era un bellissimo sole (o sarà forse che affacciandomi dalla finestra della camera d'albergo vedevo un gazometro che mi ricordava tanto la mia vita romana) -, ma alla fine ne ho riportato indietro un feeling positivo e una gran voglia di ritornarci. Che non è poco.